SCHERZANDO
La comicità " elegante " di certo esiste, ma ha un piccolo difetto ... perde per strada i 3 / 4 del divertimento!
Dal mio punto di vista, per far ridere di gusto ed afferrare il contesto, coi vocaboli è meglio andarci giù pesante,
quindi ... non lasciatevi ingannare dal resto del sito!
Se non gradite il linguaggio rozzo, maccheronico, da " scaricatore di porto " ( al giorno d'oggi, sono probabilmente più educati e meglio istruiti loro, di certi tizi che girano in giacca e cravatta ) allora il consiglio che posso darvi è uno soltanto: fuggite all'istante da questa pagina!

SCARPINANDO
Da che eravate bimbetti, i vostri vi hanno sovente portato più o meno a passeggio per monti e valli, dalla semplice sgambata di un’oretta per le facili stradine sterrate, alle più impegnative escursioncine per sentieri, durevoli la giornata intera.
Ciò vi ha da subito iniziato al magico mondo della scarpinata in montagna, dandovi confidenza con svariati dolorucci, storte, punture d’insetti, affondamenti nelle sabbie mobili, frustate di rami in ogni dove, devastanti incontri con siepi di rovi e distese d’ortiche, martellamenti da grandine, folate di vento da togliere il fiato, ustioni solari, ed una gran varietà di merde pestate.
Sgambettavate ignari in ogni dove, con mammina e papino, il quale a volte si dilettava nell’arte della “ scorciatoia “ come la chiamava lui, che consisteva perlopiù nel deviare dai conosciuti, soliti camminamenti, per andare a vagare alla “ cazzo di cane “ sbucando sempre, inevitabilmente in tutt’altro luogo rispetto ove aveva concepito sareste finiti in principio, dando quel pizzico d’adrenalina in più alle classiche escursioni espletate durante i canonici quindici giorni, che annualmente vi era concesso di trascorrere in montagna … purtroppo il pover’uomo non poteva nemmeno lontanamente immaginare allora, che così facendo vi avrebbe traviato a vita, ficcandovi nel cranio l’insana idea che voi, in montagna, dovevate assolutamente andarci a vivere in maniera definitiva!
E’ stato infatti proprio durante un innocuo, agostano giretto per boschi, che imboccata l’ennesima “ scorciatoia “ vi siete ritrovati tutti e tre in un lembo sconosciuto del paese che abitualmente vi ospitava per le vacanze, dinnanzi degli edifici mai visti prima, sui quali vostra madre si è affrettata innocente a commentare, dandovi il “ colpo di grazia “:
<< … ah! – Guarda, ecco dove sono le scuole! >>
E voi, che da pargoli milanesi di sei anni pensavate che in quel bel posto, tutti gli esseri umani del creato ci andassero solamente per trascorrere delle vacanze, manco fosse una sorta di Gardaland, realizzando all’istante la cruda realtà vi siete chiesti:
<< Ma se qui ci sono dei bambini che ci vivono tutto l’anno, andandoci perfino a scuola … perché cacchio io devo vivere e studiare in quel posto di merda? >>
Innescando prontamente, la straziante cantilena che avrebbe rotto le balle per l’intero decennio a venire, ai vostri già pentiti genitori:
<< Ma … perché non possiamo vivere qui? >>
Quesito spasmodicamente ripetuto all’inverosimile, al quale glissando oltre ogni limite immaginabile costoro hanno perseguito nel non fornire risposta appropriata, dandovi ad intendere che sì … dovevate pensarci da voi!
E così avete fatto non appena maggiorenni, mollando mammina e papino a scarpinar in montagna da soli, per dedicarvi alla vostra nuova idea di vacanza … l’ozio totale!
Nel decennio a seguire, passate le vacanze ed i weekend perlopiù venerando la vostra comoda autovettura e l’ancor più accogliente divano di casa, recandovi fra i monti abbastanza spesso, ma al sol scopo di rimirar paesaggi dal finestrino del mezzo … guai a sbattersi per parcheggiare, figurarsi scendere e sporcarsi le scarpe!
Eppure un bella domenica, ( di quelle che piove e le nuvole basse avvolgono tutto, riducendo a tratti la visuale ad un metro ) annoiati dal solito, inconcludente giretto fino al vacanziero paese d’un tempo, durante il ritorno imboccate lesti una stradina secondaria che vi porta su di un monte vicino, dove i vostri non vi avevano mai condotto prima; ed ecco sbucare dalla nebbia un ripetitore, un prato con una casa, sprazzi di bosco e scorci di paesi … robe che si vedono ovunque in montagna, ma che chissà perché, proprio in quel giorno ed in quel luogo vi fanno esclamare:
<< Wow! >>
Il sabato successivo siete di nuovo lì, ma col sole, ed il paesaggio vi lascia stupiti: avete trovato un posto che stranamente vi piace, del quale però non conoscete assolutamente niente … occorre scendere dal mezzo e darsi all’esplorazione, ma non lì: per dove camminereste senza sapere nulla di dintorni, e soprattutto … vi piace ancora camminare in montagna?
Detto fatto, in pochi minuti raggiungete il vacanziero borgo d’un tempo, e dopo esservi incredibilmente sbattuti in una manovra di parcheggio, le vostre scarpe da tennis giallo canarino calcano finalmente quel suolo che da quasi vent’anni non calpestavate; abbastanza dubbiosi vi dirigete verso la solita stradina delle solite passeggiatine, certi che così come il paese anche quella sia cambiata parecchio, rispetto come la rammentavate da bimbi … eppure, percorsa qualche decina di metri magicamente tutto torna come un tempo ( a parte voi, ovviamente ) e dopo una mezz’ora di scarpinata e le povere calzature che ora sono un mix di polvere e fanghiglia, la decisione è presa: sì, vi piace ancora camminare in montagna!
Sulla via del ritorno di nuovo infrangete il tabù, e dopo un altro ardito parcheggio irrompete dentro un’edicola, acquistando un paio di cartine recanti i sentieri della sconosciuta zona di vostro interesse, ( le app con le mappe non esistevano ancora ) così da poter dare il via la settimana seguente ad una massiva esplorazione dell’area.
Tempo sette giorni, ed eccovi parcheggiare nel primo pomeriggio in un borgo a caso sulla suddetta montagna, ove avete individuato la partenza di un’escursioncina facile facile di un’oretta appena, che vi porterà ad un vicino paesello, giusto per riprendere sintonia con l’attrezzatura e le vostre gambette, dopo un decennio passato a poltrire; calzati gli scarponi ancora nuovi, acquistati dieci anni prima in Trentino durante l’ultima vacanza con i vostri, v’infilate in spalla lo zaino da scuola giallo fluo che usavate alle medie, stipato per l’occasione con ogni sorta d’abito di ricambio, scorta d’acqua e vettovaglie ( manco foste diretti in cima all’Everest ), impugnate il bastoncino estensibile in alluminio che usavate da ragazzini e via, in salita per il borgo ansimando a più non posso, ritrovandovi poco dopo alle pendici d’un prato scosceso, per guadagnare la sommità del quale dovrete percorrere un serpeggiante, ripido sentiero … voi, pressoché paonazzi e già sfiniti dopo neanche cinque minuti!
Buttando un occhio più su mentre avidamente attingete alla borraccia, individuate una vecchina, che senza attrezzatura alcuna sale lentamente una ventina di metri avanti a voi, recando in mano un mazzolino di fiori da recapitare in qualche chiesuola lungo il tracciato; pazienza, quella prima escursione preferivate farvela da soli, comunque una volta raggiunta la tizia la liquiderete con un saluto veloce e poi via, per la vostra strada … se non che, già a metà del pratone l’amaro responso vi appare scontato: quella cacchio di vecchia … vi sta dando una pista!
Feriti nell’orgoglio, con i polmoni che esplodono, le vene che pulsano, sudati marci e con gli scarponi che fanno male, perduta l’anziana dopo ripetute soste guadagnate però l’inizio del bosco, dove ad un certo punto il sentiero biforca; indicazioni non ce n’è, segni sui massi men che meno, la vecchia chissà da che parte è andata e sulla vostra cartina non v’è segno di biforcazione alcuna; comunque, squadrando attentamente le due opzioni, una vi pare leggermente più battuta dell’altra, così la scegliete, continuando il calvario che dai calcoli appena rifatti, tenendo conto della vostra attuale, inesistente forma fisica, dovrebbe impegnarvi una mezz’ora abbondante in più.
Quale meravigliosa sorpresa, quando trascorsi pochi istanti già intravedete il paese dopo soli quaranta minuti di scarpinata, in virtù dell’ora pronosticata in partenza; senza pensarci troppo eccovi rincuorarvi e darvi pacche sulla spalla, convinti che la vostra forma fisica non sia poi tanto male allora, dopo aver stabilito quel record ( e che la vecchia sia Wonder Woman travestita da nonnina ); ecco perché ansimavate tanto … stavate correndo troppo!
Con un ultimo sforzo raggiungete l’abitato deserto, in cerca della chiesuola con annesso stagno, che secondo la descrizione allegata alle mappe, a monte del borgo darebbe il via a numerosi itinerari ben più lunghi, serpeggianti per tutta la montagna; dopo svariate ricerche una chiesuola infine la trovate, ma dello stagno neanche l’ombra, in virtù di Wonder Woman raccolta in preghiera, comodamente appollaiata sulla panchina a corredo del piccolo edificio.
Superatala con un saluto, proseguite allora a monte per il sentiero … l’unico esistente dei tanti promessi, ritrovandovi infine dopo altri dieci minuti di fatiche al cospetto d’un capanno di caccia, ove la traccia sparisce.
Dubbiosi inforcate di nuovo la cartina, e dopo aver controllato bene vi rendete conto che sì, avete raggiunto il paese … quello sbagliato!
Il piccolo agglomerato di case segnalato sulla mappa, pare infatti molto più vicino della vostra reale destinazione, per di più posizionato dal lato giusto dell’inesistente biforcazione … cacchio di biforcazione mal segnalata!
Attesa una buona mezz’ora, solo per permettere a Wonder Woman di redimersi e tornarsene a casa, evitando in tal modo l’onta di un sorpasso, mesti vi arrendete e scendete verso la vostra autovettura, giacché conciati come siete imboccare la strada corretta e tentare di guadagnare comunque la meta, significherebbe per voi morte certa; raggiunta nuovamente la stramaledetta biforcazione vi attende però un’altra sorpresa … una bella, enorme freccia di legno attaccata ad una pianta, recante inciso nel mezzo il nome del paesello che andavate cercando, guarda caso puntata esattamente dalla parte opposta a quella che avevate precedentemente scelto con cura: ma come cacchio avete fatto a non vederla?
Alla faccia della biforcazione mal segnalata!
Ridacchiando amaramente di voi stessi, giunti all’auto ve la filate con la coda tra le gambe … tornare a scarpinar per monti, non sarà poi tanto facile!
Eppure quella cacchio di montagna in particolare, chissà perché continua ad attrarvi, e durante le ferie estive ci date dentro come non mai, liberandovi perfino del vostro obsoleto zaino giallo fluo, in virtù di un nuovo fardello specifico per escursioni ( soprattutto più piccolo, così evitate d’infilarci dentro il mondo ); attrezzati e motivati ( è agosto inoltrato, e la maggior parte di quelli che avete intorno, come voi sono distrutti e non hanno idea di dove stanno andando ) recandovi sul monte ben tre volte a settimana affrontate passeggiate sempre più lunghe, perdendovi a iosa … ma chi se ne frega!
Alla fine, a furia d’imbroccare sentieri sbagliati vi fate un’idea concreta dell’area di vostro interesse, carpendo i giusti collegamenti fra itinerari le cui diramazioni ai vostri occhi divengono sempre meno fumose, grazie anche agli svariati “ brain-trust “ cui vi sottoponete, ogni qualvolta qualche altro tizio sperduto ha la brillante idea di domandare delucidazioni proprio a voi … che ad oggi, ancora andate chiedendovi quanti mai ne avrete sulla coscienza.
L’ultima scarpinata della stagione, eccovi a percorrere il famigerato “ giro della montagna “, una roba che quelli del posto fanno per smaltire la sbornia nel dopopranzo, ma che a voi avrebbe occupato una giornata intera, grazie alle oltre cinque ore di cammino preventivate per l’occasione: l’impresa è la degna conclusione del vostro nuovo esordio come camminatori, e ve la godete fin quasi alla fine, quando ad oltre un’ora e mezza dalla vostra autovettura, durante una ripida discesa attraverso un pratone, d’un tratto il vostro scarpone destro ancora nuovo acquistato dieci anni prima in Trentino, pare non risponda a dovere, restituendovi un feedback un poco molliccio; fermativi per controllare, credete d’aver pestato una gigantesca merda di vacca ( la sensazione era quella ), eppure la suola vi appare intonsa … oltre che totalmente scollata dal resto della calzatura, dalla punta fin quasi al tallone, dandovi l’impressione d’indossare una cacchio di scarpa da clown!
<< … ecco, perché in giro è pieno di suole di scarpa! >>
Commentate, soddisfatti d’aver infine compreso che tutte le suole rinvenute per anni lungo i sentieri, non erano state volontariamente abbandonate dai rispettivi proprietari; in effetti … chi è il pirla che si farebbe una scarpinata di ore, solo per andare a buttare una suola … nell’immondizia non è concesso?
… e il resto della calzatura, allora?
Finalmente illuminati sul fatto che anche se teoricamente nuove, le scarpe dopo dieci anni d’inutilizzo perdono le suole, dovete comunque riuscire a tornare alla macchina; di abbandonare la vostra suola sul posto non se ne parla, e poi il sentiero è troppo ripido per scendere senza rilievi sotto lo scarpone, tanto più che l’auto è lontana e zoppicarci con una suola soltanto vi distruggerebbe le ginocchia ( oltre a rendervi ridicoli ); serve una soluzione che non dia troppo nell’occhio e … vi siete mai chiesti a cosa servono tutti quegli occhielli e quelle stringhe chilometriche presenti su tutti scarponi da trekking?
Ovvio … ad avere dei lacci di scorta!
Detto fatto, eccovi sfilare quasi del tutto le stringhe guadagnando centimetri preziosi, per poi passarle sotto la suola fissandola al suo posto, ed utilizzare la rimanenza per stringere la scarpa con soli sei occhielli, in virtù dei quattordici presenti; l’espediente funziona alla grande, permettendovi di raggiungere la macchina in totale anonimato, giusto poco prima che anche la colla sul tallone desse forfait.
Negli anni a seguire, su quella cacchio di montagna che tanto vi attrae ( chissà perché ) ci comprerete perfino casa, guadagnandovi oltre l’onere di dover sistemare una catapecchia cadente, il privilegio di disporre d’attrezzatura pronta sul posto e soprattutto di un’utilissima, meravigliosa, personalissima … tazza del cesso!
Con l’ausilio di tali orpelli ( e un paio di scarponi nuovi e di marca, che comunque vi fanno male ), le esplorazioni procedono a iosa anche fuori stagione, insegnandovi che i sentieri non sono in realtà proprio come voi li conoscevate, giacché vengono puliti e liberati dalle infestanti solo in procinto dell’estate, per poi essere lasciati a sé stessi fino all’anno seguente; ragion per cui se vi ci inoltrate ai primi di giugno ad esempio, dovrete fare i conti con erbe alte un metro, rami di rovi che occludono il passaggio e piantagioni d’ortiche cresciute quanto un essere umano … il quale, se così pirla da girare senza bastone e con i pantaloncini corti, se la vedrà davvero brutta, credetemi!
Trascorso un altro congruo periodo di tempo, su quella cacchio di montagna che tanto vi attrae, in quella cappero di catapecchia che tanto vi piace ( chissà perché ) ci finite perfino ad abitare per davvero, prendendoci residenza, coronando in tal modo uno dei vostri sogni di bimbo ( comprarvi la ruspa e diventare il re di qualcosa dovranno attendere tempi migliori ); così, da residenti del posto imparate nuove regole sull’utilizzo del bosco fuori stagione e soprattutto … lontano dai weekend!
Ad esempio, quelle belle stradine sterrate per le quali tanto vi piace passeggiare, non sono ad esclusivo uso turistico ma servono ai boscaioli, che ci piazzano dei macchinari allucinanti e ci girano con dei camion enormi, vietando giustamente il passaggio a chiunque per ragioni di sicurezza in prossimità dell’area di lavoro … pazienza, se vi siete già fatti un’ora di scarpinata in salita.
In autunno poi il bosco è meglio lasciarlo ai cacciatori, piuttosto che rischiare d’essere erroneamente impallinati, e comunque non è onesto far scappare le prede a gente che passa le giornate appostata immobile ed in silenzio dentro oscuri, gelidi tuguri, in attesa di qualcosa che magari non avverrà neanche; il pericolo più grande però, non sono certo i cacciatori … quanto i cercatori di funghi molesti!
Più e più volte, durante le vostre scarpinate autunnali siete stati impunemente avvicinati da codesti tizi, che esordendo senza nemmeno salutare, con il classico:
<< … trovato niente? >>
Se ne fregano altamente della vostra frase di rito:
<< … io? – Ah … io non distinguo un porcino da un sasso! >>
E poi vi torchiano oltremodo, cercando di carpire dove siete passati e quanti ne avete trovati; se indossate lo zaino, sostengono che ce l’avete pieno; se girate senza, allora ve li mettete in tasca; se avete con voi il bastone siete certamente colpevoli; se non ce l’avete è perché lo tenete nascosto … uomini e donne, giovani e vecchi; poco importa che spiegate loro che no, voi di funghi non v’intendete e state solamente facendo una passeggiata, ‘sti rompiballe non credono ad una sola parola e perseguono nell’inquisirvi fin quando snervati non gli confidate:
<< Beh, guarda … laggiù devo aver visto qualcosa, ma non sono poi così belli! >>
Guadagnando in tal modo quei dieci minuti di vantaggio che vi permettono di filarvela alla chetichella, almeno fino al prossimo tizio, cui racconterete immediatamente la medesima balla e poi via, uno dietro l’altro finché non sarete al sicuro dentro casa.
Ci sono poi le bestiole del bosco, che non sono tutte quante amichevoli; cinghiali e tassi possono essere abbastanza incazzosi, ed in settimana se ne incontrano con facilità, perfino i cervi maschi da mezza tonnellata possono talvolta decidere di caricarvi, quindi a detta degli abitanti del posto ( quelli veri, non voialtri ) meglio portarsi sempre il bastone … anche se il vostro, piccolo, leggero, estensibile in lega di alluminio, non farebbe del male nemmeno ad un pollo.
Comunque, mentre ancora cercavate lavoro dopo esservi trasferiti lassù, è giunto il covid con i relativi lockdown, il primo dei quali vi costringerà a restar chiusi in casa per mesi, godendo di non più di tre scarpinate a settimana … duecentocinquanta metri, fino ai cassonetti dei rifiuti.
Nel frattempo però, a corto di legna da ardere mettete le mani sulle potature d’un vicino di casa, ritrovandovi con un bel ramo di sorbo, lungo un paio di metri per ben cinque centimetri di diametro; un vostro amico tempo addietro, durante un’escursione vi aveva fatto provare uno dei suoi bastoni autoprodotti, che ispirati a quelli utilizzati in tempi di guerra, aveva realizzato lunghi ben centosessanta centimetri … quale aiuto in discesa per voi, fifoni patentati che con la vostra esile bacchetta da trekking faticate non poco a sentirvi sicuri, lungo i tratti scoscesi!
Il puntale in metallo ve lo ha già regalato l’amico in questione, un ramo bello grosso ora l’avete e non potete uscire di casa per mesi … eccovi dunque a scorticare e carteggiare il suddetto legno come degli ossessi, nella speranza di realizzare il vostro super-bastone quanto più dritto possibile; per settimane ci date dentro con la carta vetrata, cercando di appianare gobbe e avvallamenti con l’unico risultato d’aver infine ridotto il diametro del futuro bastone a neanche tre centimetri … stortando un ramo che era nato dritto in partenza!
Tirato l’ennesimo “ chi se ne frega “, in quanto altri rami non ce n’è, e di voglia men che meno, passate il legno alla fiamma, quindi lo lasciate essiccare per un anno intero, prima di verniciarlo con … un avanzo d’impregnante vecchio dieci anni che avete rinvenuto semi-fossilizzato dentro una latta dimenticata in cantina ( un salto al brico, no … eh? ) ottenendo una schifezza di tinta, che per esser tirata quasi omogenea vi richiederà la stesura di dieci o forse più mani ( sinceramente, avete perso il conto ), dando vita ad un cacchio di storto bastone traslucido apparentemente in simil-plastica, della lunghezza di centosessanta centimetri per un peso di ben ottocento grammi … di vernice, presumo.
Comunque, installato il puntale quel “ mostro “ si rivela quanto mai utile, accompagnandovi di lì in poi in tutte le vostre uscite nel bosco, e dopo qualche giretto, fatta l’abitudine anche il peso non è più un problema, in virtù dell’aiuto offerto nelle ripide discese, quanto durante l’attraversamento di coltivazioni d’ortiche o intrecci di rovi; sulle bestie e sui cercatori di funghi molesti non l’avete ancora collaudato, ma avete capito per certo che benché sghembo, date le dimensioni già da lontano fa la sua porca figura, divenendo un deterrente formidabile.
Il novanta per cento della gente che v’incrocia per strada infatti, quasi dimentica di salutare, per affrettarsi a commentare ad occhi sgranati:
<< Va … che bel bastone! >>
E a voi non rimane che ringraziare … ben sapendo che vi stanno prendendo per il culo!
Trovato infine perfino lavoro ( anche se non su quella cacchio di montagna, che chissà perché tanto vi piace ), eccovi belli e stipendiati fare un ultimo, fondamentale acquisto a completamento della vostra attrezzatura da scarpinata: un paio di scarponi come si deve, che non facciano male e le cui suole tengano anche sulle pietre più viscide; le vostre attuali calzature infatti si avvicinano ai dieci anni di vita ( pericolo suole! ) e benché siano di marca e non certo le meno costose risultano comunque scomode sui lunghi tragitti, per di più la mescola della gomma non va d’accordo con le pietre bagnate ed i tratti leggermente innevati, essendo quegli scarponi concepiti perlopiù per l’estate … ma voi lì, oramai ci abitate tutto l’anno!
Su consiglio d’un collega, gran camminatore per zone impervie ( e cercatore di funghi ), vi focalizzate su di una marca in particolare, di quelle prodotte esclusivamente a mano con materiali di alta qualità, optando poi per un modello da caccia, adatto a tutti i terreni con ogni condizione climatica; il prezzo è più del doppio dei normali scarponi da trekking, ma lo stipendio ce l’avete, quindi … chi se ne frega!
Ed infatti, come preventivato le vostre nuove calzature non deludono affatto, dandovi per la prima volta la sensazione d’andar per sentieri in pantofole; sono fresche d’estate, calde d’inverno, tengono a meraviglia su qualsivoglia percorso affrontiate, grazie ad un’avveniristica suola autopulente che funziona per davvero, tornando linda entro poche centinaia di metri soltanto, dopo aver attraversato i peggiori pantani; perfino sull’asfalto riescono a sorprendervi ‘sti magici scarponi … sono più comodi delle scarpe da tennis!
Così, mentre un bel giorno d’estate attraversate un prato fiorito guardando per terra ( un po’ per non inciampare, un po’ per rimirare il vostro ultimo acquisto ), con la coda dell’occhio notate un’apetta, che sbalzata dal proprio fiore al vostro passaggio finisce dritta nel collo dello scarpone, giacché da emeriti pirla state girando coi pantaloncini corti, visto che è alta stagione ed i rovi e le ortiche sono puntualmente stati falciati; tempo un secondo, ed ecco una bella puntura attraverso lo spesso calzettone e voi, fermativi per rimuovere alla svelta ape e pungiglione immediatamente commentate:
<< … ecco, cosa cacchio è successo l’altra volta! >>
Rammentando di quando, qualche anno prima nelle medesime circostanze, avevate sentito un improvviso prurito nello stesso punto, ma non collegandolo ad un’ape eravate tranquillamente tornati a casa sbattendovene di cercare il pungiglione, guadagnando così un bel bubbone della circonferenza di alcuni centimetri che vi ha rotto le balle per mesi, mentre ignari ( e deficienti ) seguitavate a chiedervi, grattandovi come degli ossessi:
<< Chissà cosa cacchio mi ha morso … un ragno? - … una zecca? - … sarà mica un parassita? >>
Ora finalmente, sapete che anche se è estate e si crepa di caldo, conviene comunque portare sempre i pantaloni lunghi, per boschi; tanto non ci farà caso nessuno … guardano tutti il bastone!
E qui, giungiamo finalmente a ciò che nella vostra, bacata testolina ha generato questo scritto, ovvero l’ultimo giretto facile facile cui vi siete sottoposti giorni addietro.
E’ inverno, e non volendo salire di quota causa neve bazzicate nei paraggi di casa, percorrendo nel pomeriggio uno dei sentieri più battuti della zona, mentre con calma tornate alla vostra abitazione con l’intento d’accendere la stufa e poi sbattervi a letto per una bella pennichella; se non che, d’un tratto vi rendete conto d’aver pestato una clamorosa merda di cane, subdolamente celata dal fogliame nel bel mezzo del sentiero.
Confidando nelle vostre spettacolari suole autopulenti non ve la prendete più di tanto, in quanto alla meta mancano ancora alcuni chilometri su svariati fondi diversi, e per quando sarete giunti a destinazione, le vostre suole si saranno sbarazzate anche di quella robaccia … in fondo, hanno visto di peggio!
Eppure controllando sull’uscio di casa, constatate che la tenace merda è ancora interamente al suo posto, nonostante le vostre suole si siano prontamente liberate di tutto ciò che le stava intorno; leggermente indispettiti, raggiungete allora un prato vicino e ci date dentro come un aratro per ben dieci minuti abbondanti … prima di arrendervi alla dura realtà: quella robaccia, non si scolla manco con le cannonate!
Abbattuti eccovi rincasare scalzi, e poco dopo in cantina provare con l’acqua corrente … ma che!
Infine, amareggiati afferrate la spazzola di plastica e … sotto a chi tocca!
Così, mentre nel fetore più assurdo grattate a iosa sotto l’acqua, sparando robaccia ovunque e su voi stessi ( dovevate essere a letto, a farvi una bella pennichella ), il vostro unico pensiero non va al deficiente che l’ha lasciata lì, in mezzo al sentiero, quando in virtù del raccoglierla sarebbe bastato almeno spostarla a lato, utilizzando le milioni di foglie e rami caduti presenti sul posto.
Pensando schifati a ciò che ha battuto di netto le vostre costosissime, ora impotenti suole autopulenti, l’unico vostro pensiero è :
<< Ma cosa cacchio gli danno da mangiare a ‘ste bestie … il Bostik? >>

LEGNATO DALLA LEGNA
Da che siete al mondo, avete sempre avuto a che fare con qualche sorta di “focolare domestico“.
Sarà che i vostri, quando eravate ancora in fasce vi hanno subdolamente fotografato con tutta la culla poggiata dentro il camino di casa … fatto sta che già da bimbetti voi non giuocavate con i fiammiferi, ma smanettavate qual piccoli piromani con il suddetto camino, quando non era il nonno paterno a coinvolgervi allegramente nel tipico falò di sterpi bruciato in giardino, o la nonna materna a mostrarvi come fosse possibile aprire la rovente stufa a legna senza l’ausilio di protezione alcuna, ove invece di gettarveli in tutta fretta, deponeva con calma e sempre a mani nude i ciocchi da ardere nel bel mezzo del fuoco, prendendosi perfino il tempo necessario a ruotarli, disponendoli a dovere.
Con un simile background pare scontato, che abbiate sviluppato un’inconscia dipendenza dalle vive fiamme d’un focolare … cosa , che ha contribuito non poco a portarvi dove cacchio vi trovate oggi!
Finché abitavate con mammina e papino, vi siete semplicemente limitati a bruciare nel suddetto camino le ramaglie potate dal giardino di casa, coadiuvate di tanto in tanto dalle cianfrusaglie legnose recuperate dagli svariati ripostigli e capanni in forza all’abitazione, quando il vostro vecchio, stufo del caos andato creandosi negli anni sbatteva di punto in bianco tutto quanto in cortile, ed accendendo la preziosa motosega di famiglia faceva ogni cosa a brandelli, passando puntualmente dal ricambista per affilare o sostituire la catena del mezzo, costantemente rovinata da qualche inserto metallico occultato nel sopracitato ciarpame.
Ciò vi ha insegnato che le motoseghe, oltre ad essere fra gli aggeggi più pericolosi in circolazione, sono anche fra quelli più ostici da accendere ( a volte occorreva una mezza giornata intera, per convincere quella del vecchio a partire ), e siccome vi piacciono le sfide impossibili, e siete patologicamente attratti dagli attrezzi che si usano di rado, eccovi ancora abbondantemente minorenni a girare per il giardino sgasando a più non posso con tale macchinario per mano,( mentre il legittimo proprietario era al lavoro e mamma a far compere ) intenti a troncare una rametto qui e uno là dalle piante di casa … anche quelle da frutto.
Poi, una volta maggiorenni e stipendiati vi siete rotti le balle della vetusta, problematica motosega di famiglia, ed automuniti siete andati a comprarvene una tutta vostra, bella grossa e di manifattura americana ( anch’essa lunatica nel partire, come ogni motosega che si rispetti ), comparsa la quale le piante da frutto … hanno cominciato a sparire per intero!
Per fortuna nel contempo i vostri han ben pensato di procurarsi una casetta in montagna, ovviamente riscaldata a legna, che divenuta improvvisamente insufficiente è stato necessario acquistare, ed eccovi felici e contenti a sfogarvi su dei ciocchi mai visti, che ridimensionavate a vostre spese per puro diletto, almeno fin quando anche voi, ormai trentenni non vi siete comprati la famosa catapecchia ove ora abitate ( il Rottamone ), che già da villeggianti del fine settimana richiedeva comunque, la sua cospicua parte di carburante.
Mettendovi in società con i vostri avete quindi raddoppiato le forniture in arrivo, e sfruttato al meglio la cosiddetta “ bimba “ ( chiamate così tutti i vostri attrezzi preferiti … perfino il macchinario lungo venti metri al quale lavorate in fabbrica ), finché trasferitivi stabilmente in montagna non l’avete accantonata, abbandonandola sola, mal funzionante e inzaccherata di resina nella casa di famiglia, giacché al Rottamone non godevate di spazio esterno alcuno ove utilizzare una motosega a scoppio, preferendole una meno potente ma più pratica sorellina a propulsione elettrica.
Non avevate mai trascorso un intero inverno in montagna, prima di allora, ed azzardando un paio di calcoli ( ovviamente cannati per intero ), vi siete procurati una decina di quintali di legna … rigorosamente consegnati a settanta chilometri di distanza, in quanto nei vicoli non vi è possibilità alcuna di far giungere un camion, ed anche affidandosi a mezzi più contenuti sorge un piccolo problema, o meglio quattordici, quanti sono gli scalini a salire per portare il legname dal piano stradale alla vostra cantina, e una tonnellata da portare su a braccia in un’unica soluzione, più che un’opzione pareva un suicidio!
Per il vostro primo anno da montanari quindi, avete dovuto coscienziosamente impilare la legna una prima volta a casa dei vostri, per poi scendere settimanalmente ad insacchettarla e stiparla nell’auto un paio di quintali a viaggio, arrivando col mezzo fino in piazza al paese, da dove una trentina di chili per volta la sfacchinavate col carrellino a mano fino alla base dei suddetti scalini, portando poi ogni singolo sacco in braccio fino in cantina … almeno fin quando, nel cuore dell’inverno le vostre risicate scorte sono andate esaurendosi, costringendovi ad ordinare legname consegnato in loco e di conseguenza a cimentarvi pure nel suddetto “ suicidio “, che vi ha lasciati miracolosamente in vita, anche se abbastanza acciaccati.
Assodato quindi esservi indispensabile la legnaia dei vostri, come punto di consegna primario, per il secondo inverno decidete di fare le cose “ in grande “, ordinando ed impilando, trasportando ed accatastando ancora, ben venti quintali abbondanti di ottima, costosa legna di faggio.
Certo, essendo al momento disoccupati di tempo libero ne avete, e sfacchinare ogni due settimane con un’auto stracolma di pesanti sacchi non è poi così male; tanto più, che passato il Natale avete ancora all’incirca cinque quintali stipati in cantina, ed altri quattro sono giù a casa dei vostri, pronti per essere prelevati non appena la neve che ricopre i vicoli si sarà sciolta, consentendovi la ripresa dell’approvvigionamento … ma stiamo parlando del Natale 2019!
A marzo, il simpatico “ Giuseppy “ televisivamente annuncia l’inizio del primo, durissimo lockdown, che vi costringerà a tirare la fine della stagione gettando nella stufa ogni brandello di legname che avete in casa, compreso quello da costruzione per fare i lavoretti, i pezzi robusti dei vecchi arredi che conservavate per utilizzi futuri … perfino le potature appena tagliate di un vostro vicino di casa, per non parlare di come avete imparato a bruciare manciate di pellet dentro una stufa a legna!
Terminato il lockdown, non appena trasportate a monte le rimanenti scorte avete ben chiaro il da farsi, ed ordinati stavolta ben trentacinque quintali di legna, letteralmente vi ammazzate per portarne in casa il più possibile prima delle prossime, probabili restrizioni, per far fronte alle quali se necessario siete disposti perfino a saccheggiare fraudolentemente i boschi nei dintorni, e per far ciò portate su anche lei … la bimba!
Così al sopraggiungere del secondo lockdown, non avendo null’altro da fare ordinate qualche ricambio su internet, passando poi giorni interi a smontare minuziosamente l’incatramata, preziosa motosega, che verrà ripulita pezzo per pezzo utilizzando l’unico detergente adeguato che avete in casa … il famoso sgrassatore al profumo di Marsiglia!
Pian piano, ripescata poco a poco da una lercia bacinella contenente una nerastra salamoia del suddetto intruglio, ecco la bimba tornare alla propria forma originale, con tanto di filtri e tubetti nuovi, nonché il capriccioso carburatore minuziosamente ripulito grazie ad un costoso spray ordinato per l’occasione; quindi, ritrovativi con una motosega che pare appena uscita di fabbrica non vi resta che provarla, ma le limitazioni incombono ancora e comunque per fortuna, questa volta non vi dovrà servire, in quanto di legna ne avete davvero portata su abbastanza, finalmente!
Però al successivo “ liberi tutti “ non vi fate scappare l’occasione, e scesi a far scorte eccovi tornare su con un poco di miscela, giusto per dar vita qualche istante al mezzo sulla porta di casa; inserito il carburante e completate le procedure di accensione tirate infine la cordicella e … magia!
Siete commossi; non solo la bimba appare come nuova, ma il suo rombo preciso e perfetto scuote l’intero paese di montagna, dimostrandovi che sì, avete fatto un buon lavoro: la vostra fedele compagna è tornata a cantare per voi, ed anche se non potete utilizzarla altrimenti, una volta drenata dai fluidi darà sfoggio di sé sopra la bella mensola in castagno che le avete appositamente costruito sulla parete degli attrezzi.
Neanche il tempo di godersi il risultato ed ecco annunciarsi il terzo lockdown, ma stavolta ce ne avete talmente piene le balle … che decidete di trovare lavoro!
Contro ogni pronostico, cominciate nel cuore della pandemia la vostra nuova carriera da metalmeccanici, e se da un lato vi fa immenso piacere scorrazzare finalmente in macchina contro ogni divieto, dall’altro dovete ammettere che dopo una settimana in fabbrica, sfacchinare la legna due quintali per volta da casa dei vostri al Rottamone non è più un’opzione praticabile.
Ora che siete stipendiati, procurarvi un box in loco qual punto d’approdo per il legname diventa fattibile, ma tra il dire e il fare … riuscite ad accaparrarvene uno solo verso la fine dell’estate, quando lassù trovare legna da ardere non è poi così facile.
Per risparmiare ( e complicarvi la vita ) il legname lo volete “ in stanga “, ovvero sia a pezzi tagliati dal metro in su, che poi dovrete ridimensionare voi stessi a trenta centimetri circa; verso metà settembre sondate alcuni rivenditori locali, i quali a stagione inoltrata vi consegnerebbero volentieri tutto il pellet del creato, ma di legna in stanga neanche l’ombra; poi, provate dall’altro lato della montagna e … tombola!
Un rivenditore ha delle cataste già pronte e belle stagionate, che visionate perfino prima dell’acquisto; costano il giusto, sono rami lunghi all’incirca tre metri, in quantità sufficiente al vostro fabbisogno; il cavalletto taglialegna già l’avete, un box sufficientemente arieggiato pure … non vi resta che fare benzina e riesumare la bimba!
Di lì a pochi giorni, nello scaricare il camion scoprite che la legna in stanga, oltre a costare poco è alquanto più maneggevole e sbrigativa da sistemare, rispetto a quella già lavorata, cosa che vi aggrada non poco; poi, nel primo pomeriggio eccovi attraversare pregni d’orgoglio il paese con la vostra bimba ( motosega ) per mano, ed una volta giunti al box preparare i primi tagli sul cavalletto, al fine di portare i rami alla lunghezza di un metro circa, per poterli caricare agevolmente in macchina; quindi, rifornito il marchingegno vi cimentate nella consueta procedura di accensione, ed il frastuono che ne determinerà di lì a breve non solo infastidirà perfino gli abitanti del paesino di là della vallata, distante ben cinque chilometri, ma li indurrà a radunarsi rapidamente in chiesa … per trovare rifugio dalla raffica di bestemmie che giungeranno urlate a squarciagola, da un non meglio identificato box sulla montagna di fronte!
In fondo ve lo aspettavate: la stronzissima, lunatica bimba fa ciò che ha sempre fatto, in barba al carburatore pulito; tossicchia un po’, tira là qualche colpetto e poi si spegne, rifiutandosi di partire anche dopo mezz’ora di poderose tirate di corda, che vi riducono ad uno straccio sudaticcio e dolorante senza nemmeno aver tagliato un centimetro, del vostro prezioso legname.
Siamo ormai ad ottobre, fa già abbastanza freschino e voi vi ritrovate con un box stracolmo di legna da sezionare, tuttavia senza una motosega per farlo … ma lo stipendio ce l’avete, ed anche di tutto rispetto, il che v’induce dopo quest’ennesima rottura di balle a fiondarvi ad acquistare una nuova bimba, un po’ più piccolina e maneggevole dell’altra, molto meno pesante per la vostra povera schiena già provata dai turni in fabbrica, e questa volta … di prestigiosa marca!
Non è la migliore in assoluto, ma la differenza con quelle di livello hobbistico si vede e si sente, quindi per tagliare qualche ramo dentro un box, risulta più che qualificata; pesa perfino meno dell’elettrica, ed ha un innovativo sistema di accensione che le permette di partire sempre al primo colpo, tirando la cordicella non più di dieci centimetri e solo con un paio di dita, da tanto che è morbida … tutt’altro che quella di prima!
E’ studiata per essere spenta e riaccesa facilmente dopo ogni singolo taglio, consentendo un notevole risparmio di olio e carburante, per non parlare dei fumi molesti; grazie a lei, in pochi minuti eccovi preparare dimensionate a misura delle cataste di legna pronte da insacchettare e sbattere in macchina, cimentandovi quindi nel consueto andirivieni col carrellino su per i vicoli … che purtroppo, con dei ciocchi lunghi un metro si rivela essere una soluzione massacrante.
La legna tagliata corta la portavate dentro tanti, piccoli sacchi non troppo pesanti da sfacchinare, ma questa così lunga dovete obbligatoriamente imbustarla dentro fardelli più ampi, che a meno di non metterci solo due o tre legni per volta risultano essere alquanto impegnativi da sollevare: dovete obbligatoriamente cambiare sistema … è finalmente giunto il momento di compiere il passo che sognate da anni, ovvero acquistare un mezzo motorizzato, che trasporti agevolmente il tutto dalla piazzetta al vostro domicilio!
Se non già ampiamente citato, vi rammento che ora avete uno stipendio, e nel box ci starebbe anche, una bella motocarriola cingolata come ce l’hanno tutti in paese; ma voi, amanti della demenza e del rischio ( o forse semplicemente spilorci ) decidete nonostante tutto di acquistare quello, che fra gli abitanti del borgo verrà presto ribattezzato … “ il cinese “.
Dopo cospicue riflessioni infatti, dovete tener conto che il box si trova dall’alta parte dell’abitato, a circa cinquecento metri abbondanti dalla vostra dimora, e pare evidente che muovere per un chilometro a viaggio la motocarriola su asfalto e cemento, consumerebbe i cingoli in un batter d’occhio, oltre che produrre un casino pazzesco per quindici minuti abbondanti, girando in lungo e in largo bruciando prezioso carburante; meglio quindi optare per un aggeggio leggero e meno costoso, tanto maneggevole che può perfino essere trascinato su per le scale e riposto direttamente in cantina, così da effettuare unicamente il breve tragitto dalla casa alla piazza … duecento metri soltanto.
L’accrocchio di nuova concezione è a propulsione elettrica, quindi silenziosissimo, requisito essenziale per voialtri che odiate dare nell’occhio; trattasi di una tipica carriola con vasca, munita all’anteriore di due ruote artigliate da trattore con motore incorporato stile e-bike, e al posteriore di altre due d’appoggio rimovibili, il tutto realizzato nella “ discreta “ combinazione di colori: rosso – nero – arancione … peccato non vi abbiano fornito anche un completo da clown, per utilizzarla!
Di manifattura prettamente cinese, reperibile rigorosamente su internet, senza quasi alcuna possibilità di pezzi di ricambio nel caso si rompa, ma soprattutto ad un quarto del costo di una classica cingolata, quello strambo aggeggio vi ha incuriosito da subito, ed una volta arrivato col corriere nel suo bello scatolone strappato, e con delle parti puntualmente ammaccate, non appena assemblatolo bestemmiando per ore sulle scarne istruzioni a corredo, il cosiddetto “ cinese “ vi ha stupito all’istante per la sua grande, inattesa potenza … pressoché incontrollabile.
Sgomma a più non posso il cinese, e in salita tira come un dannato, anche con un quintale abbondante a bordo; in discesa gode di un sistema di frenatura automatico totalmente elettronico … che frena troppo, e se provate a dargli un filo di acceleratore per sveltirlo ecco che parte a razzo, trascinandovi giù all’impazzata; elettronico è anche il pratico freno di stazionamento, che tiene ferme le ruote motrici consumando batteria, esaurita la quale indovinate un po’?
Vi abbandona nel bel mezzo della pendenza, senza possibilità alcuna di fermare tutto il suo peso se non quella di piazzarci sotto un piede, ed attendere qualche minuto che la batteria si riprenda quel tanto che basti a completare il viaggio; comunque, nonostante tutti i pronostici sfavorevoli, una volta capito cosa farci e cosa non farci il cinese si rivela un aiuto prezioso, permettendovi di sfacchinare legna come mai prima d’ora, facendovi risparmiare un sacco di tempo … o forse no.
Come suddetto, è infatti bello vistoso e non ce ne sono altri in giro, quindi chiunque vi veda caricare e muovere quell’aggeggio, villeggianti e non, inesorabilmente vi ferma per chiedere lumi, tanto che talvolta un tragitto d’un paio di minuti diventa di un’ora abbondante; guardano il cinese, chiedono dove si compra, quanto costa, cosa fa … gli scattano perfino delle foto a quell’insano accrocchio, e voi siete tentati di scrivere a chi ve l’ha venduto e pretenderlo per davvero, il completo da clown!
Fortuna che è silenzioso … male che vada, comincerete ad usarlo di notte.
Per quest’anno “ forse “ potete per la prima volta starvene un pochino tranquilli, riguardo la legna; il vostro fornitore ve ne ha già portati al box ben cinquanta quintali, che voi avete immediatamente ridimensionato ed impilato a tempo di record … stupendo anche lui.
Il cinese ne ha già sfacchinati in cantina oltre una ventina, tutti prontamente tagliati a misura di stufa e soprattutto spaccati, grazie al nuovo, piccolo spaccalegna idraulico ( cugino del cinese ) che vi siete regalati per non rompervi più la schiena ( e soprattutto il pavimento ) a colpi d’ascia; una volta tanto siete a metà della stagione invernale e avete ancora il settanta per cento delle scorte a disposizione, la cantina è bella piena e a voi non resta altro da fare, durante le vacanze di Natale, che tirare giù la vecchia bimba dalla sua mensola in castagno per darle una bella spolverata … profuma ancora di Marsiglia!

REMINISCENZE DI PESCA " SPORTIVA "
Vi ricordate di quando, da ragazzini ve ne andavate a pesca con gli amici?
… no?
Non preoccupatevi … ci penso io!
Anzitutto, la deplorevole decisione di cimentarvi “ a modo vostro “ nella nobile arte della pesca sportiva, giungeva sempre a seguito delle decantazioni di uno di voi: il classico “ figlio di p … escatore provetto “, che scassandovi le balle per ore a scuola, narrandovi le gesta eroiche del padre alle quali aveva ( teoricamente ) assistito in prima persona, alla fine convinceva tutta la combriccola a riesumare dai garage, dai ripostigli, dai pollai, dagli orti, e da dove altro l’avevate coscienziosamente riutilizzata o dimenticata, la vetustissima attrezzatura che fu dei vostri avi ( per alcuni, si parla perfino del bisnonno ).
Eccovi dunque aprire impolverate scatolette dimenticate da Dio, ( i più fortunati ce le avevano di legno, gli altri di cartone ) districandovi fra montature già pronte, ami, piombini, galleggianti d’ogni forma e colore, ed un groviglio di lenze da far paura a quei tizi, che solitamente risolvono bendati il cubo di Rubik in meno di quindici secondi; poi, ovviamente toccava a lei … la canna da pesca del vecchio!
Acquistata a caro prezzo anni orsono dal babbo, o perfino dal nonno, quando anche loro si sono fatti abbindolare come dei pirla dall’amico di turno, vi si presentava immancabilmente imbrattata da anni d’incuria, ma non appena rimosso il lerciume che la ricopriva si rivelava sempre per quello che era: nuova di zecca.
La maggior parte di voi avrà rinvenuto delle semplici, lunghe canne da pesca “ a mano “, mentre figli e nipoti di amatoriali pescatori megalomani d’un tempo, si saranno ritrovati fra le mani perfino delle canne a mulinello, con le quali i vostri avi s’immaginarono di poter scendere al mare a cacciare il blue marlin su di una barca d’altura … ma che in realtà si flessero all’inverosimile e quasi si spezzarono, sotto il peso dell’unica alborella che osò ( per sbaglio ) abboccare alla loro lenza, nel laghetto poco lontano da casa.
Raccattato ciò, giungeva immancabile il momento di procurarsi dell’esca, ed eccovi cimentarvi con vanghe, rastrelli e zappini, fra l’orto e le aiole fiorite di mamma, che non mancava mai di ringraziarvi a dovere, bestemmiandovi dietro finché soddisfatti non avevate concluso la spesso infruttuosa “ caccia al verme “, deponendo i pochi, rachitici esemplari rinvenuti ancora interi, non all’interno dei moderni sacchetti in cotone solitamente adibiti ai pulitissimi cagnotti d’allevamento, ( a quelli, ci sareste arrivati superati altri livelli di follia ) bensì dentro le antiche, nere e sforacchiate scatolette rotonde di plastica, ove anche i vostri avi conservarono le medesime, economicissime esche, mescolate ad un poco di terra umida e niente di più.
Quindi, sbattevate tutto quanto nello zaino che solitamente utilizzavate per la scuola e poi via, in bici o in motorino ( rigorosamente quelli di un tempo, coi pedali che fuoriuscivano dal blocco motore ) ritrovandovi tutti nel medesimo luogo … lo stagno più malconcio che i vicini boschi avessero da offrire!
Già; perché così come il figlio di p … escatore provetto vi aveva indotto a seguirlo a spada tratta, si era anche premurato di farvi notare che nessuno di voi ( nemmeno lui ) possedeva regolare licenza di pesca, documento indispensabile per svolgere tale attività su laghi, mari o corsi d’acqua degni di tal nome; certo, avreste potuto spingervi un po’ più lontano da casa, al fine di raggiungere uno di quei bei laghetti privati a pagamento, dove le trote sguazzano in banchi aspettando solo un amo al quale appendersi … ma voi, virtuosi della nobile arte, non avreste mai ceduto ad una simile onta, per tre onorevoli motivi: la miscela del motorino costava, quelli in bicicletta non volevano pedalare così lontano e, dulcis in fundo … costava pure pescare!
Ergo, eccovi a percorrere sterrati sentieri, di quelli che quando ritornavate a casa, vostro padre in merito al motorino infangato all’inverosimile puntualmente chiedeva:
<< Ma dove cacchio ci sei andato, per ridurlo così? >>
Senza contare le innumerevoli forature alle quali siete andati incontro nel corso degli anni, le forcelle distorte, il filtro dell’aria da pulire quattro volte al giorno, l’erba aggrovigliata in ogni dove e via dicendo; ma quando finalmente, dopo tutto quel motocross raggiungevate il tanto agognato stagno … beh, lì vi si aprivano le porte del paradiso; un paradiso tappezzato di cannette infestanti, coi tronchi marci che affioravano qua e là dai cinque metri quadri scarsi d’acqua ancora liberi dalle piante, e le fronde degli alberi così basse, che per alzare in verticale la canna bisognava prenotare.
Comunque il posto era tranquillo, certamente fuori dalle ronde della forestale ( che forse sperava perfino che qualcuno lo svuotasse, quello pseudo - laghetto ), e proprio per questo lì si radunavano i pescatori come voi, quelli alle prime armi, o per meglio dire i reietti, della nobile arte della pesca; e infatti raramente lo stagno era deserto, pullulando a tutte le ore del giorno di idioti, che non cercavano di prendere qualcosa all’amo … ma almeno di centrare con il suddetto la poca acqua residua rimasta fra le infestanti!
Scelta accuratamente una delle poche spiaggette disponibili ( raggiungendola direttamente in motorino, per la gioia di tutti i presenti ), producendo un casino infernale la vostra combriccola prendeva ad estrarre ed assemblare l’attrezzatura ( almeno, quelli che lo sapevano fare ), per poi passare al fatidico momento d’infilzare l’esca sull’amo: ed ecco, quelli a cui i vermi scappavano a iosa; quelli che non ce li avevano e glieli dovevi prestare, perché vivevano in città; quelli che ci avevano schifo a toccarli, e di contro, quelli che invece volevano scommettere che se li ciucciavano perfino ( e che anche se li ignoravate senza puntare alcun che, alla fine se li ciucciavano lo stesso per pura ripicca ) ed infine gli animalisti convinti: coloro che ritenevano abominevole, infilzare un povero verme sull’amo ( ma allora a pesca … cosa cacchio ci venivano a fare? ); eppure anche lì, non mancavano i megalomani: quelli che ridacchiando dei vermetti altrui, dalle proprie scatolette sfoderavano dei colossi di quasi venti centimetri, dimenticando che nello stagno … nulla aveva la bocca tanto grande da ingoiarli!
Quindi, infilzate chi più e chi meno le povere bestiole, partivano i tipici commenti schifati:
<< Urgh … da questo esce della roba gialla! >>
<< Ma và? – Quella del mio è rossa! >>
<< Il mio … già non si muove più! >>
E passato il fatidico momento della vermifera commiserazione, d’un tratto cominciavano i lanci:
<< Huaa! >>
Urlava il tizio alla vostra sinistra, mentre la canna si fletteva in verticale per la frustata, la lenza sibilava velocissima e … chissà perché, invece di tuffarsi nel punto prescelto, la montatura finiva irrimediabilmente troppo a destra o a manca, infrattandosi nel bel mezzo delle cannette; allora, udita l’immancabile imprecazione, ecco farsi strada fra i timpani il tipico ticchettio del mulinello che cercava di recuperare il maltolto … di pari passo al ronzio prodotto dalla frizione di quest’ultimo, quando ovviamente amo e galleggiante s’impigliavano nel groviglio delle infestanti, inducendo nel vostro compare l’immediata produzione di una caterva di “ vaffa “, dei quali voi ridevate di gusto … prima di lanciare, e ritrovarvi esattamente nelle medesime condizioni!
Quando incredibilmente ( una volta su dieci ), la lenza filava via dritta verso l’acqua, guarda caso andava a centrare il tronco semisommerso piazzatovi nel mezzo, ed avvolgendosi a più giri su quest’ultimo vi dava non poco da fare, per tentare di liberarla fra l’ilarità dei compagni, che puntualmente, se non il suddetto tronco centravano una bella foglia di ninfea larga mezzo metro … una delle tante, che ricopriva quasi per intero la poca acqua libera dalle onnipresenti cannette.
Fatta amicizia ( a suon di bestemmie ) anche con il tronco semisommerso, decidevate allora di superare ogni ostacolo puntando sulla potenza; ed eccovi prendere una postura mai vista, mentre flessi all’indietro come dei campioni di limbo caricavate il colpo, sicuri di fiondare tutto l’ambaradam oltre tronchi, cannette e ninfee, fin quasi sulla sponda opposta dello stagno; poi, lanciando un tipico, poderoso urlo giapponese proprio di quelle occasioni, sfoderavate tutta la vostra forza e … frasc!
Centravate in pieno la fronda dell’albero sopra di voi, alla quale la lenza si avvinghiava così bene da dovergli regalare tutta la montatura, che andava a far compagnia alle altre centinaia che dagli alberi contornanti il laghetto pendevano a iosa, coi loro bei galleggianti dai mille colori pressoché irraggiungibili, senza l’ausilio di un’autoscala.
Quella volta su un milione che per puro sbaglio centravate l’acqua, finalmente partiva l’idillio della pesca sportiva … una rottura di balle mai vista, con il galleggiante che se ne stava lì immobile per ore, e lo scurissimo specchio lacustre, dal quale talvolta sfuggivano delle sporadiche bolle che i sedicenti esperti attorno a voi giudicavano come prodotte dai pesci, ma che in realtà erano semplicemente frutto della decomposizione delle migliaia di tonnellate di foglie, carogne e quant’altre schifezze riempivano il fondo dello stagno, la cui acqua appariva torbida e nerastra, e dalla quale mai avete visto alcuno cavare qualcosa di vivo!
Ogni tanto, un pizzico d’adrenalina in corpo ve lo iniettava il pensionato di turno, che scrutando attentamente fra le cannette immancabilmente notava qualcosa nuotare a pelo d’acqua:
<< Và, che bel pesce gatto! >>
Commentava ad alta voce con i propri compari, e tutti i pirla del laghetto immediatamente recuperavano le lenze per lanciarle verso l’evidente scia, che dal groviglio di canne si propagava veloce verso la sponda, giunta alla quale il fantomatico pesce gatto si rivelava sempre per quello che era … l’ennesima pantegana che attraversava a nuoto l’esiguo specchio d’acqua!
Verso la fine della giornata, solo pochi di voi resistevano stoicamente con la canna in mano; i più si erano armati di bastone, e facendo la ronda sull’argine avevano indetto la “ caccia al topo “, comunque più fruttuosa che la pesca al
“ pesce fantasma “; i secchioni avevano estratto a sorpresa dallo zaino il quaderno di scuola, e sedutisi all’unico, lercio tavolo con panchine disponibile si erano messi a fare i compiti; il tizio che ciucciava vermi aveva scovato un nido di calabroni in un tronco, e sconsigliato da tutti aveva preso a stuzzicarli, mentre chi ancora resisteva con voi riesumava a più riprese la propria, ormai flaccida esca dall’acqua, esordendo:
<< Cacchio, dopo di questo non ne ho più! – Dici che se lo lascio fuori un po’ … poi si riprende? >>
E voi, mossi a compassione ammiccavate annuendo, di fronte all’ennesimo verme palesemente passato al creatore, mentre l’artefice di tutto ciò, il figlio di p … escatore provetto, anziché perseverare ad oltranza aveva mollato tutto da un pezzo, e millantando vaccate si era abilmente accostato ad un gruppo di anziani super attrezzati, che torturati oltremodo dalle imprese del suo eroico padre stavano raccattando in fretta e furia tutta la loro mercanzia, nel disperato tentativo di darsela a gambe.
Comunque, superate le primissime difficoltà, bene o male tutti quanti ci avevate preso la mano, a pescare, ed in fondo anche non prendendo un’acca di niente il divertimento era sempre assicurato; ecco allora che dai vermi siete passati ai costosi cagnotti, andandoveli a comprare a peso dal caccia e pesca per il solo gusto d’immergere la mano nel brulicante sacchetto, già di per sé un’esperienza incredibilmente gradevole, per non parlare del poggiarselo in mano … altro, che le palline antistress!
Così, col sacchetto rigorosamente appeso al manubrio del motorino partivate nuovamente all’avventura, e frequentando il lugubre stagnetto apprendevate sempre più stupidaggini, sugli assurdi metodi di pesca praticati in quel luogo ostile; c’erano i vecchi, che millantavano che pescando dall’isoletta affogata fra le cannette si potessero prendere dei veri mostri … e voi subito facevate gli equilibristi su delle lerce assi poggiate sopra il groviglio galleggiante, al fine di raggiungere la suddetta isola, dove vi riducevate a pescare con la canna tutta ritratta dentro una pozza larga neanche un metro ( ovviamente senza prendere niente ); c’erano i tizi che pescavano con le esche finte
( quelle professionali ), e quelli di voi cui non piacevano i vermi, prendevano a fabbricarsi dei grovigli di vegetazione da appendere all’amo … per l’ilarità generale.
Eppure, incredibilmente capitava che sulle sponde di cotanta schifezza vi fossero anche dei veri pescatori provetti, di quelli che Sampei gli faceva un baffo, e che il blue marlin l’avevano pescato per davvero … ma cosa cacchio ci facevano lì?
Semplice, pensateci bene!
Avevano pescato tutto il pescabile in giro per il mondo, perfino i piranha … cosa c’era di più difficile, che cavare qualcosa di vivo da un lercio stagno in decomposizione pieno di ratti, dove nessuno riusciva mai a prendere niente?
Ed eccoli sfoderare tutta la loro attrezzatura di prim’ordine, scegliersi i punti migliori ( si fa per dire ), e guardare con aria schifata quelli che, ridacchiando di gusto perpetravano nel fiondare le proprie lenze sugli alberi … per non parlare di coloro che muniti di bastoni rincorrevano i topi sull’argine!
Costoro, come se l’acqua non fosse già torbida abbastanza, in un pomeriggio riuscivano a lanciarci dentro una ventina di chili di costosa pastura, e voi, non appena indispettiti se ne andavano a mani vuote, subito gli fregavate il posto, lanciando per il resto della serata dentro una densa poltiglia color beige … senza ovviamente cavarne alcun che, se non ritrovarvi con lenza e attrezzatura che puzzavano all’inverosimile.
Vi è stato un unico pomeriggio, in cui avete visto qualcuno arpionare qualcosa di vivo, dalla sponda di quel laghetto; un tizio, piazzato con degli amici sull’argine opposto al vostro, che non appena lanciato aveva visto il collega alla sua destra portarsi le mani al volto, urlando a squarciagola:
<< … il mio naso! >>
Increduli, pensavate fosse uno scherzo, guarda caso ispirato da una delle più famose leggende urbane sulla pesca sportiva … eppure l’età dei partecipanti, non certo dei ragazzini, vi aveva dato ad intendere che stesse accadendo per davvero, e quando anche voi infine, mollata la canna per terra siete accorsi sulla sponda opposta assieme a tutti i presenti, il fato vi ha ripagati concedendovi di assistere in prima persona, all’effettiva rimozione di un amo da pesca infilzato a dovere dentro una narice umana, trapassandola da parte a parte manco fosse un piercing!
Tagliato in due l’amo grazie a delle tronchesi ( con sommo dolore della vittima ), ecco che l’abile collega che l’aveva “ pescato “ liberò il poveraccio, e quando i due si avviarono mesti verso il pronto soccorso, voialtri gasati all’inverosimile dallo spettacolo decideste valesse certamente la pena, di perseguire nella nobile arte della pesca sportiva dentro quel cesso di laghetto … magari spostandovi un po’ più distanti gli uni dagli altri.
Andaste avanti a buttarci vermi e cagnotti per qualche mese ancora … poi, qualcuno finalmente si accorse dello stato pietoso nel quale versava il postaccio, e da un giorno all’altro prosciugarono il tutto piazzandoci dentro una bella ruspa, che rimuovendo il lercio fondale con tutte le cacchio di cannette donò nuova vita allo stagno, gli argini del quale vennero risistemati, gli alberi potati, i sentieri che vi conducevano puliti e pavimentati, con tanto di cestini per l’immondizia; i tavoli con panchine si moltiplicarono su tutto il perimetro, e quello che ne risultò fu un bel laghetto degno di tal nome, ove, dopo il doveroso ripopolamento voialtri tornaste a pescare.
Ed eccovi scatenarvi in lanci mai visti, che nella vastità dello specchio d’acqua tuffavano sempre l’esca senza problema alcuno … tanto, che dopo un paio d’ore vi siete rotti le balle per davvero ( non c’erano neanche più i topi ), e saliti in sella ve ne siete tornati mestamente a casa, imboscando canne e attrezzatura dove le avevate recuperate, senza più riesumarle.
… chissà che un giorno, in un lontano futuro, anche qualche vostro discendente si faccia fregare come un pirla, dal figlio di p … escatore di turno!
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STRAMALEDETTO BRICOLAGE!
Cacchio … è passata un’altra settimana, e voi non avete ancora finito di posare il dannato listone, su in montagna; è ormai un mese che vi svenate ad acquistarne pacchi su pacchi, e dopo gli ultimi tre giorni di lavori il responso è quanto mai infausto: ve ne occorrono come minimo altre quattro confezioni, per compiere l’impresa, e ciò significa che vi toccherà sorbirvi l’ennesima, esosa, stressante visita allo stramaledetto centro di bricolage!
Quando eravate poco più che ragazzini, e ancora non avevate una catapecchia cadente da sistemare, vi piaceva perfino, andare a curiosare entro quei grandi capannoni pieni di ogni ben di Dio: parcheggiavate l’auto nel punto più distante dall’entrata, e zampettando allegramente senza carrello alcuno dribblavate agilmente i numerosi venditori abusivi sparsi per il parcheggio, che coi loro voluminosi carichi, tutto potevano fare fuorché starvi dietro e rompervi le balle, mentre leggiadri zigzagavate senza meta apparente, raggiungendo in un lampo l’entrata del negozio così come la vostra utilitaria, troppo lontana dalle “ rotte commerciali “ dei tizi, che per inseguire voi avrebbero perso decine d’altri reticenti clienti.
Una volta entrati poi, non ve ne fregava niente delle chilometriche code alle casse: buttavate là un occhio, abbozzavate un mezzo sorrisetto di scherno, e dopo aver girovagato per scaffali soddisfacendo appieno la vostra curiosità, ve ne andavate semplicemente dalla mitica “ uscita senza acquisti “, ai quali potevate comodamente dedicarvi nei giorni meno affollati, quando di cassiere ad attendervi ce n’erano quattro o cinque per volta, e a voi non restava che l’imbarazzo della scelta.
Ora purtroppo l’idillio è terminato, e la vostra lercia casupola vi costringe quasi settimanalmente ad introdurvi in una di quelle bolge infernali, per uscir dalle quali, il più delle volte muniti d’un fastidioso carrello, dovete sorbirvi le suddette, interminabili code, nonché tutto lo stress che deriva dal pilotare quegli aggeggi malconci e stracarichi, facendo pressoché a spallate con centinaia d’altri irritati acquirenti.
Eccovi dunque imboccare con l’auto il parcheggio, e mentre decine d’altre vetture si sfidano a sportellate per accaparrarsi il posto più vicino all’ingresso, voi con nonchalance sfilate via per una viuzza periferica, portandovi lesti agli antipodi dell’area di sosta, ove in tutta tranquillità abbandonate solitaria la vostra cara macchinina, fra il terriccio e le erbe infestanti che ricoprono per intero, l’inutilizzato asfalto di quella branca di posteggio dimenticata da Dio, incamminandovi spediti verso la più remota tettoia per carrelli, una delle poche a non esser presidiata dai soliti tizi, che però a tal vantaggio oppone il fatto d’esser abitualmente utilizzata da clienti e non, quale comoda piattaforma ecologica ove scaricare le più svariate tipologie di rifiuti.
Giunti al cospetto del piccolo deposito, la situazione si fa subito allarmante … ma in fondo lo sapevate già!
Alla tettoia, per esser completa, manca solo un bello striscione appeso, con scritto “ SAGRA DEL CARRELLO SMINCHIATO “, giacché per tenere i mezzi migliori nei depositi vicino l’ingresso, lì vengono sistematicamente radunati i quattro ruote con qualche difettuccio; vuoi la classica rotella che s’ingrippa e cinguetta come un chiurlo, o quella che ballonzola in ogni direzione; il carrello che non si riesce a staccare dalla catenella, o il classico modello deforme, che sembra ci abbiano acquistato un elefante; perfino quello senza un pezzo ( maniglia, ruota, una parte di cesta ) che inevitabilmente v’induce a chiedervi:
<< Ma come cacchio hanno fatto a staccarla? >>
E soprattutto:
<< Cosa diamine aspettano a buttarlo via? >>
Passati in rassegna i quatto, rachitici esemplari presenti, alla fine ne scegliete uno un po’ sghembo ( ma almeno tutto intero ), e lesti estraete dalla saccoccia i vostri preziosissimi cinquanta centesimi, infilandoli nell’usurato marchingegno che blocca il maniglione, pregando nel contempo di riuscire a staccarne la maledetta catena senza troppe difficoltà.
Con un briciolo di malizia l’operazione si conclude nel migliore dei modi, e dopo aver giochicchiato un poco con gancio e monetina il vostro “ nuovo “ quattro ruote è finalmente libero dal vincolo … ma non dal carrello entro cui è infilato frontalmente, che purtroppo per voi si rivela essere il tipico modello da “ trasporto elefanti “, così sbilenco, che il pianale pare esser stato fuso con quello del vostro dalle forze tettoniche che premono gli uni contro gli altri i continenti, scatenando eruzioni e sollevando catene montuose.
Ora, un tizio normale s’irriterebbe un pochino … ma non voi, che ben avvezzi a simili inconvenienti avete già la soluzione a portata di mano: ed eccovi miscelare con maestria una caterva di “ vaffa “, una sfilza di calcioni, degli strattoni da record mondiale di tiro alla fune accompagnati da preistorici mugugni, nonché un nugolo di bestemmie da sciogliere l’asfalto intorno … et voilà!
Con la pressione alle stelle ( da gonfiarci lo pneumatico d’un camion ), il viso paonazzo e le manine che tremano d’incazzatura, in men che non si dica il carrello è libero e pronto all’uso … ma non fate neanche in tempo a percorrerci un metro, che subito vi accorgete di qualcosa che vi sbatacchia rumorosamente fra i piedi: è la sponda posteriore, staccatasi chissà come della piccola cesta retrattile presente in ogni carrello da bricolage che si rispetti, e che essendo ora riposta in verticale all’interno del manico, altro non fa se non lasciarvela penzolare proprio dinnanzi le scarpe, acuendo non poco le vostre già di per sé precarie condizioni mentali.
Comunque, l’inconveniente vi ruba pochi secondi soltanto, giacché con le aggraziate movenze del più incazzato gorilla che si sia mai visto fra tutte le foreste equatoriali, in breve incastrate ogni cosa al suo posto ( ma così bene, che neanche con una fiamma ossidrica, l’apriranno più quella dannata cesta ), prendendo quindi ad attraversare tranquilli il parcheggio … certi che niente e nessuno oserà mai tentar di vender qualcosa ad un tizio paonazzo, con due vene che pulsano ai lati delle tempie e un’espressione omicida stampata sul volto!
Come previsto, raggiungete senza difficoltà l’ingresso del capannone, ma accedervi è tutt’altro che semplice, con un carrello alla mano e nugoli di persone che escono alla rinfusa, strizzandosi fra le porte automatiche; per fortuna però, mentre invano cercate di avanzare di qualche centimetro, venite superati da una coppia di coniugi di quelle “ inossidabili “, che fregandosene altamente degli spazi ristretti e dell’affollamento, perseverano imperterriti nel tenersi a braccetto fianco a fianco, occupando in tal modo i due terzi del passaggio mentre fieri avanzano, respingendo a suon di presenza la folla in uscita … e dietro i quali voi vi accodate a razzo, godendo in tal modo d’un buon metro quadro di solitudine per progredire verso i cancelletti automatici.
Peccato soltanto, che non appena oltrepassata tale barriera i due decidano di svoltare bruscamente a destra, andando ad ostruire per chissà quanto tempo la ristretta, affollatissima corsia delle offerte; eccovi dunque soli soletti sul trafficato corso principale del capannone, che purtroppo per giungere al listone dovrete attraversare per intero … salvo esser subito puntati da un tizio con un pesante carrello extra large carico di piastrelle, che tutto intento nell’ammirare una collezione di stufe a pellet, se ne frega altamente di chi c’è davanti, e avanza alla cieca con duecento chili di roba giungendovi in breve a pochi centimetri di distanza.
Lo spazio per frenare tutto quel peso è ormai troppo esiguo, e già sapete che anche urlandogli:
<< Pirla … guarda dove vai! >>
Vi travolgerebbe comunque; tocca a voi evitarlo, e rischiando di falciare caviglie col carrello, buttate là un paio di spallate a sinistra, beccandovi una caterva di sguardi indignati, ma evitando almeno lo scontro.
Non siete neanche ad un terzo del percorso, e già avete rischiato seriamente la pelle; pochi metri ancora, ed il traffico peggiora: voi avanzate lenti, con cautela, ma chi sta dietro spinge e chi giunge di fronte non si scansa … poi, il miracolo!
Dalla corsia dei sanitari, ecco sbucarvi dinnanzi un tizio con un carrello identico al vostro, in punta al cui pianale è stata autorevolmente posata in posizione di marcia … una tazza del cesso!
Costui prende la vostra stessa direzione, e voi lesti lo seguite a ruota, pensando:
<< Yeah! – Vai così … Mister Tazza del Cesso!
E lui non si fa certo pregare, accelerando il passo mentre fiero fende la folla con la sua prua in ceramica, manco fosse il Titanic; ora potete se non altro rilassarvi un pochino, con Mister Tazza del Cesso che fa l’andatura, e mentre avanzate spediti verso il reparto falegnameria, vi casca l’occhio dentro le corsie più affollate di qualsivoglia centro di bricolage … quelle dell’elettricità!
Non avete mai capito perché quasi nessuno sappia fare il piastrellista, in pochi il falegname, qualcuno il fabbro e taluni gli idraulici … eppure tutti, ma proprio tutti, uomini e donne, giovani e vecchi, grandi e piccini … siano degli elettricisti provetti!
Nella corsia dei fili elettrici, notate da subito l’addetto districarsi in un groviglio mai visto, al sol scopo di tagliare al cliente un paio di metri d’introvabile cordina di rame color legno, provvista perfino di venature fasulle al fine di confondersi al meglio, una volta incollata a soffitti e pareti dello stesso materiale; in quella degli interruttori invece, nugoli di persone afferrano, osservano, testano e ripongono infinite varietà dei suddetti, andandosene soddisfatti solo a mani vuote o dopo aver acquistato quello sbagliato; ma è la corsia delle lampadine, quella più … allucinante!
Lì infatti, dall’alba al tramonto si radunano giornalmente schiere di anziani, che abbacinati dalle centinaia di luci vi restano come intrappolati, a fissare con la bocca socchiusa e gli occhi sgranati i luminescenti pannelli con le lampade accese, in attesa di chissà quale, mistico evento; sono i cosiddetti “ nonni flash “, che se ne stanno lì, col naso all’insù, tutti intenti nel cogliere le più insignificanti discrepanze tra un filamento a led e un tubo fluorescente … quando poi non capitano sotto uno di quei faretti col sensore automatico, che col suo magico accendi – spegni istantaneo gli fa fare almeno un po’ di ginnastica, fra una camminatina veloce e una fugace passata di mano.
Ed infatti, anche stavolta ve ne saltano all’occhio ben cinque, mentre inconsapevoli danzano la macarena al ritmo impostogli dal faretto automatico; tra di loro, riconoscete al volo le “ new entry “, semplicemente dal fatto che ancora riescono a scambiarsi un’occhiata e qualche commento; per i “ veterani “ invece non c’è ormai più speranza, con il loro solitario ondeggiare meccanico e la bauscina che gocciola a litri sul pavimento.
Tutti però, hanno in comune una cosa: a sera fatta rincaseranno dalle rispettive mogli, pregni d’ogni sorta di dolore articolare ed un po’ più abbronzati, millantando d’aver trascorso la giornata nell’orto … a spaccarsi la schiena facendo chissà che!
Oltrepassata tale corsia, purtroppo per voi Mister Tazza del Cesso vira bruscamente a dritta con tutto il Titanic, imboccando il reparto tubi di scarico … ma ormai siete ad un passo dalla falegnameria, ed il fondo del capannone è così vicino, che poche persone si spingono fin laggiù, permettendovi di percorrere abbastanza agevolmente gli ultimi metri che vi separano dal tanto agognato, stramaledetto listone.
Giunti alla meta, lesti ne impilate quattro pacchi sull’esiguo pianale del carrello, stando ben attenti ad organizzarli in modo che la cassiera possa agilmente scannerizzarne singolarmente ogni codice a barre, dopo che al vostro primo acquisto, vi siete presentati alla cassa con una sola etichetta in bella mostra, precisando all’addetta di turno:
<< Sono quattro, tutti uguali! >>
Sentendovi rispondere:
<< Ehm … mi spiace, ma devo batterli tutti e quattro! >>
Cosa, che vi ha costretti a svuotare e riempire nuovamente il carrello, con somma incazzatura vostra e di tutti i clienti in coda dietro di voi!
Quindi, terminato il complicatissimo gioco ad incastri ( che stranamente vi riesce più facile del solito ) fate per ripartire, ma il carrello vi appare insolitamente leggero … ed è lì che vi accorgete d’averlo caricato in realtà con delle semplici perline, che qualche bastardo ha prelevato chissà dove e poi abbandonato sopra il listone, pressoché sepolto da una montagna del legname sbagliato!
Ringhiando come un pitbull e recitando un sommesso turpiloquio, svuotate il cacchio di carrello e prendete a scavare gli strati di perline, giungendo infine al listone, che dopo aver analizzato con cura prendete nuovamente ad impilare coi codici a barre in bella mostra … un rebus, degno della Settimana Enigmistica!
Ultimata l’operazione, ( che avrebbe lasciato di stucco perfino gli ingegneri della NASA ) potete finalmente riprendere la via delle casse, salvo ritrovarvi dopo pochi metri del corso principale dentro un ingorgo mai visto, causato da un nugolo di “ nonni flash “, messi in fuga a colpi di mocio dall’addetto alle pulizie, chiamato per l’ennesima volta a pulire l’appiccicaticcio pavimento della corsia lampadine.
Già vi state disperando, con a bordo quei sessanta chili di roba sporgenti d’un metro dal pianale del carrello, che da una corsia laterale sbuca nuovamente lui: Mister Tazza del Cesso!
Preso dall’enfasi del fai da te, o forse dalle offerte, ha pensato bene d’allargare la famiglia, e dietro la solita tazza posizionata in punta al carrello, è riuscito ad incastrare obliquamente anche un bel bidet; come se non bastasse, s’avvia anche lui verso le casse, e di nuovo vi fa da apripista:
<< No! – Costui … non può essere un semplice uomo che ha deciso di ristrutturare il bagno! >>
Pensate fra voi; egli è un supereroe … il vostro supereroe!
Per di più fende la folla come fosse un transatlantico, e quindi quel nomignolo non se lo merita proprio: è ora di smetterla, con quell’irrisorio “ Mister Tazza del Cesso “.
D’ora in avanti, per voi sarà sempre e solo … Capitan, Tazza del Cesso!
E allora via, dietro il capitano, immaginandosi eroiche musichette con squilli di trombe, ed un vermiglio mantello che ne ricopra le spalle; di nuovo egli accelera, e la sua prua in ceramica intimorisce ed allontana il nemico, ora perfino più accorto nello scansarsi, grazie alle sporgenze laterali del bidet caricato al traverso.
Con le braccia tese in avanti, attaccate al maniglione del carrello par quasi volare, ed in pochi secondi vi conduce sani e salvi alla barriera casse, dove mesti l’abbandonate in cerca della fila più corta, che individuate in un tizio con soltanto un paio di valvole per mano, seguito da una coppia di coniugi muniti d’un semplice soffione per doccia; lesti vi accodate anche voi, ma non appena la cassiera rivolge parola all’uomo in pole position, questi commette il più atroce dei crimini … richiede fattura!
Così, dopo esservi sorbiti numeri di partita iva e tempi di stampa della suddetta, stramaledetta fattura, finalmente tocca ai coniugi: ed ecco lui poggiare il soffione sulla cassa, mentre lei apre la borsa e ne estrae a sorpresa … una sfilza di foglietti scritti a penna dai più svariati reparti del bricolage, zeppi di codici da digitare manualmente, per pagar della roba da ritirare sul retro!
Già vi esce il fumo dalle orecchie, ed il vostro listone rischia seriamente d’incendiarsi, quando alla fine del conto, invece d’arrendersi e pagare, la signora esordisce con il classico:
<< Come mai così tanto? >>
Costringendo la povera cassiera a ripassare tutto il conteggio … per poi impuntarsi sul dannato mobiletto sottolavello che era in offerta, e mettersi a questionare sul fatto che non sapevano ci volesse la tessera, e bla bla bla bla …
Alla fine, dopo aver fatto perdere cinque minuti abbondanti al mondo intero, ovviamente si arrendono e pagano i settecento e rotti euro del conto ( compresi i dieci che volevano risparmiare grazie alla fantomatica promozione ), lasciando campo libero a voi, che giunti dinnanzi alla ragazza, vi aspettate che costei esca dalla sua postazione e giri attorno al carrello, scannerizzando ogni singolo pacco di listone, come avviene dalla notte dei tempi; lei invece, semplicemente allunga un braccio e bippa il codice più prossimo, chiedendovi:
<< Sono tutti uguali? >>
E voi, stupiti:
<< Ehm … sì! – Quattro, tutti uguali! >>
Ora, dovreste aver voglia di svuotare nuovamente il carrello, prendere il listone e correre in giro, pestandolo in testa a tutti i dipendenti, i dirigenti, e perfino ai proprietari del posto … ma siete troppo ammirati, e proprio non riuscite a farvene una ragione del perché un Premio Nobel, si diletti a lavorare alla cassa del bricolage!
Pagato il conto senza batter ciglio, e salutata quanto più cordialmente possibile la geniale figliola, approfittando d’un tizio con un carrello stracarico di malta oltrepassate le maledette porte automatiche, inoltrandovi per il parcheggio, dove invece di tagliare per la via più corta fate un giro larghissimo, onde scoraggiare qualsivoglia venditore dall’inseguirvi fin chissà dove; purtroppo però il vostro listone è ben visibile, ed il carrello pesante ed instabile vi costringe a procedere lenti, venendo inevitabilmente adocchiati da uno di quei piranha, che prontamente taglia obliquamente lungo l’area di sosta con il chiaro intento d’intercettarvi … eppure, proprio quando ormai vi davate per spacciati, compare lui:
<< Capitan Tazza del Cesso? >>
Vi starete chiedendo.
No .
Solo un “ nonno flash “, che ritrovatosi chissà come all’esterno, ancora abbacinato dalle lampadine vaga sperduto zigzagando per il posteggio, finendo per intruppare guarda caso proprio nel vostro inseguitore, il quale non si fa certo pregare, e da rompiballe patentato tenta l’impossibile per vendergli qualcosa dimenticandosi di voi, che benedicendo lampadine e “ nonni flash “ vi portate in breve agli antipodi del parcheggio, raggiungendo finalmente l’auto.
Lì, cominciate ad armeggiare con sedili, schienali, cappelliera e quant’altro, al fine di convincere l’utilitaria a contenere per intero i due metri del listone, ma proprio nel clou dell’operazione … s’avvicina lemme lemme un’autopattuglia dei Carabinieri!
I militari a bordo, vi osservano attentamente attraverso i finestrini abbassati con aria più che sospettosa, ma non appena compreso che state solo caricando roba acquistata, e non abbandonando scorie nucleari, sterzano e se ne vanno senza proferir parola, probabilmente intenti a chiedersi:
<< Ma se non deve buttar via niente … perché ‘sto pirla ha parcheggiato così lontano? >>
Quesito, cui nemmeno voi in realtà riuscireste a rispondere!
Sobbarcata oltremodo la povera macchinuccia, eccovi infine alla sfida più ardua dell’intera giornata: recuperare la monetina dal carrello!
Giunti nuovamente al deposito, pare evidente che nessuno abbia prelevato il modello “ trasporto elefanti “ ( e certo … ci siete solo voi ), entro il quale vi toccherà trovar modo d’infilar nuovamente il vostro sghembo quattro ruote, quanto basti a far sì che la catenella col gancio, liberi la povera monetina presa in ostaggio dal vile dispositivo posto sul maniglione.
Per cominciare spingete un poco, ed il carrello s’infila solo per metà … poi vi tocca passare ai calci, ai “ vaffa “, alle spallate, alle bestemmie, a dei poco edificanti colpi di schiena ( o per meglio dire di fondoschiena ) per giungere, una volta esaurite tutte le opzioni “ decenti “, a sfoderare una serie di movimenti pelvici da far impallidire i più gettonati attori hard!
A quel punto, intimoriti da cotanta virilità i carrelli si lasciano vincere, e voi potete riagganciare stiracchiandola un po’ la catenella nel marchingegno … che però di ridarvi i soldi, se ne frega altamente!
Di nuovo prendete a smanettare col gancio: tirate, spingete, storcete, pestate, insultate lo stramaledetto arnese … vi viene perfino in mente di tornar dentro e comprare un piede di porco per scassinarlo, quel cacchio di carrello:
<< Ecco, perché a tanti manca il maniglione! >>
Vi dite, immaginandovi gente che un piede di porco l’ha comprato davvero, e staccandoci tutta la maniglia dal carrello se l’è portata a casa per pura ripicca; ma la spesa non varrebbe comunque l’impresa ( a parte forse la soddisfazione ), ed infine, piegando lateralmente il gancio con la delicatezza consona all’incredibile Hulk, finalmente l’aggeggio sputa fuori il malloppo, consentendovi d’andarvene ( anche se un po’ sudaticci ) da quel girone dantesco.
Saliti in macchina partite e raggiungete il corso principale del posteggio, ove immettervi a breve è pura utopia; vi sono infatti due file ininterrotte di veicoli, sia in entrata che in uscita, e senza la benevolenza di qualcuno non riuscireste mai a sgusciar fuori dalla vostra viuzza laterale … ma ecco, che una monovolume scura si ferma e vi lampeggia; voi, mollate la frizione ed uscite, alzando nel contempo un braccio in segno di gratitudine e guardando in volto il conducente … Capitan Tazza del Cesso!
Di nuovo v’irrompono musichette eroiche e squilli di trombe nel cranio; costui, in tutta la sua magnanimità ha fermato il traffico dietro di sé appositamente per voi, che ora davvero non sapete più come ringraziarlo; vi viene in mente d’accostare e lasciarlo passar davanti, così da seguirlo e scoprire dove abita, per poi presentarvi alla sua porta il giorno di Natale, recando in dono un bello scopino di marca avvolto in uno sgargiante fiocco rosso … ma vi prenderebbe di sicuro per deficienti ( o anche a calci nel culo ), e quando negli specchietti, alla rotatoria lo vedete dirigersi nella direzione opposta alla vostra, tutto ciò che potete fare è lasciar scendere una mezza lacrimuccia, mentre mesti vi congedate:
<< Addio, Capitan Tazza del Cesso! – Ti auguro una pronta installazione … ed un felice collaudo! >>
Ma la vita continua, e voi dovete comunque guardare avanti … soprattutto per schivare al pelo un altro “ nonno flash “ intento a riguadagnare casa, dopo esser passato dal fruttivendolo ad acquistare le verdure che millanterà d’aver amorevolmente coltivato nell’orto.
Giunti infine alla vostra catapecchia, ricominciate a posare il listone e … surprise!
Ve ne manca giusto mezzo metro quadro, per completare l’opera, e ciò significa che anche settimana prossima vi toccherà … appunto.

ALLERGIA E DINTORNI ...
E giunge di nuovo la primavera, che voi in qualità di giardinieri provetti dovreste gradire un sacco … ma si dà il caso che per pura sfiga, da che siete adolescenti tale stagione altro non fa se non ridurvi alla stregua di un gasteropode, inducendovi a produrre litri e litri di appiccicaticce secrezioni, delle quali vi liberate contro la vostra volontà sparandole alla considerevole velocità di ottocento chilometri orari contro tutto ciò che vi sta intorno, “ dipingendo “ a spruzzo manco foste graffitari consumati, pavimenti, case, mobili, soprammobili e perché no … anche persone e animali, con una patina incolore che i bricolage farebbero a gara per confezionare in lattina e rivendere cara, scrivendoci sopra: PROTETTIVO TRASPARENTE MULTIUSO … 100% NATURALE.
I fazzoletti di cotone della nonna, a poco servono per contenere cotanta abbondanza, e di quelli di carta ve ne dovete portar dietro stecche su stecche, ( oltre che noleggiare un camion della nettezza urbana dove gettarli ); da furbetti, avete provato ad acquistare i famosi “ rotoloni “, quelli per la casa, e in effetti uno strappo di mega, maxi, multi, extra trapuntatura superassorbente qualcosa in più dura … ma in quindici minuti vi ritrovate comunque con in mano un pezzo di carta zuppo di moccio, fra nugoli di bestemmie e una disperata corsa contro il tempo, per afferrare qualcos’altro che riesca prontamente a parare l’imminente starnuto in arrivo.
Il momento peggiore giunge sempre sotto la doccia, quando per ovvie ragioni non potete aver niente sottomano dove accogliere il naso, e spesso vi ritrovate inspiegabilmente a lavarvi con del “ gel “ … anche se avete acquistato il doccia schiuma classico.
Quando poi siete comodamente seduti a farvi le parole incrociate, il rotolo della carta igienica lì a fianco è una tentazione irresistibile, piuttosto che abbassarvi a ravanare nelle tasche dei pantaloni afflosciati sul pavimento … ma nel caso, dovete sempre tener conto che in seguito, vi toccherà di passare dei secoli ad armeggiare coi cotton fioc e l’acqua corrente per estrarne ogni singolo truciolo dalle narici, ove la suddetta tipologia di carta prenderà a decomporsi non appena infilata, manco foste una sorta di fossa biologica, e se per caso avete la barba … beh, allora buona fortuna!
L’antistaminico lo prendete giusto il necessario, giacché i lievi effetti collaterali indicati, sono in verità più che devastanti: “ PUO’ DARE SONNOLENZA “, c’è scritto su tutti; e in effetti, non appena digerite la pastiglia, nonostante il naso continui a prudervi come se un tizio ci stesse versando dentro una bibita gassata, il vostro cervello diviene immediatamente preda d’un abbiocco profondo, che vi farà trascorrere il resto della giornata auspicando di fiondarvi in un letto.
Sul bugiardino, le istruzioni dicono di prenderlo alla sera, prima di coricarvi, e in effetti ha senso, giacché poi dormirete beati fino al mattino … e oltre, in quanto la sveglia manco la sentite, e se per caso insistendo riesce a destarvi, voi altrettanto rincoglioniti riuscite a spegnerla senza nemmeno rendervene conto, tornando beatamente nel mondo dei sogni; i pochi fortunati che ancora vivono con i genitori forse hanno qualche speranza in più, ma devono pregare di avere una madre che una volta esauriti urli e scossoni … abbia il coraggio d’impugnare un bastone!
Sperimentato tutto questo, i più furbi hanno pensato d’impasticcarsi al mattino, prima di uscire di casa per andare al lavoro … peccato solo che poi gli tocchi di passare l’intera mattinata starnutendo in attesa dell’effetto del farmaco, ed il pomeriggio recuperando le ore di sonno perse ( non le vostre, quelle della pastiglia ), magari guidando in tangenziale …
In ogni caso, giunti a sera siete pressoché distrutti: del tanto agognato film in prima serata non riuscite a cogliere nemmeno l‘inizio, dopo che l’ennesima pubblicità mandata in onda a tradimento, fra l’annuncio d’inizio del programma ed il titolo dell’opera vi ha definitivamente chiuso gli occhi, e nemmeno l’ultima puntata dell’avvincente stagione della più rinomata serie TV, ha il potere d’intrattenervi per più di mezzo episodio; gli sfavillanti, rumorosi show televisivi hanno l’effetto di una partita del campionato di biliardo, e la finale di Champions League pare quella della bocciofila all’osteria del paese.
In pratica, per due mesi l’anno prendete il cacchio di antistaminico … e per quei due mesi altro non fate che alzarvi a fatica, lavorare semi-rincoglioniti e tornare a casa per rimettervi a letto ( anche se in realtà siete su di un divano, una sedia in cucina, sulla tazza del cesso o perfino sulla panca da pesi, fra un sollevamento e l’altro ); quelle poche volte in cui, invece di dormire riuscite miracolosamente a compiere una qualche attività ludica o sportiva, siete pressoché assenti, spompati, ed ecco la salitella in bicicletta dietro casa trasformarsi nel temibile Mortirolo, ed il giretto a piedi attorno al laghetto somigliare alla Marcialonga; in più, non appena accennate a rallentare il ritmo dell’esercizio, o addirittura a fermarvi, la sostanza perde ogni effetto, lasciandovi preda di pruriti nasali e lacrimazioni a non finire, facendovi immediatamente pensare:
<< Ma perché cacchio non sono rimasto sul divano? >>
Comunque non preoccupatevi … non c’è solo il torpore, fra gli effetti collaterali di ogni antistaminico che si rispetti!
Infatti, le adorabili pastigliette vi provocano anche una fame immonda, trasformandovi per tutto il periodo di assunzione in una sottospecie di porco da grufola; ed eccovi frugare in ogni pertugio alla disperata ricerca di qualche snack dimenticato da Dio, nonché raddoppiare inconsciamente i biscotti nel caffelatte, le porzioni dei contorni, la farcitura sulla pizza e quant’altro sfugga al vostro controllo; i pacchetti di patatine vi tocca smettere di comprarli, o le usereste come contorno perfino a colazione, e di caramelle in casa è meglio avere solo quelle senza zucchero, magari di quei gusti che fanno schifo ( tranquilli, le finirete tutte lo stesso! )
Poi, così come è arrivata finalmente l’allergia scompare, e d’un tratto riuscite a smettere del tutto l’antistaminico, tornando alle vostre normali funzioni mentali: è ormai estate, e guardandovi la panza vi rendete conto d’esservi preparati al meglio per la prova costume … quello del Gabibbo!
I vostri arti sono flaccidi, e come se vi foste appena risvegliati da un coma non ricordate un acca di niente del tempo libero trascorso negli ultimi due mesi ( per forza, avete solo dormito ); come se non bastasse, l’idillio del cibo termina contestualmente all’assunzione del farmaco, ed eccovi aggrottare le sopracciglia schifati, di fronte all’ennesimo piattone extra-large di pastasciutta propinatovi a pranzo da mamma, che osservando la vostra inappetenza puntualmente commenta:
<< Cos’è … non stai bene? >>
E voi invece vi sentite alla grande, respirando pollini, polveri e peli a pieni polmoni, mentre il fazzoletto se ne resta finalmente confinato nelle tasche; certo, ogni anno vi perdete ben due mesi di vita, ma il piacere di riscoprirla appieno dopo il lungo torpore non ha prezzo.
Ed ecco taluni che apprendono increduli di stare con un’altra … qualcuno scopre perfino d’aver cambiato lavoro; c’è chi finalmente realizza cosa sia stata quella strana vacanza fuori stagione, ed il perché si ritrovi con un anello dorato al dito; i più stupefatti, si accorgono di avere addirittura una culla a fianco del letto … con un pargolo urlante dentro!
Gli unici fortunati, ( se tali si possono definire ) … sono quelli che si rendono conto d’aver già traslocato!
Io, dal canto mio, sono certo che fra un paio di mesi penserò:
<< Ma chi cacchio l’ha scritta ‘sta roba? >>