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SCRIVENDO

GLI EVENTI, ANCHE LIEVI, CAUSANO INEVITABILMENTE DELLE RIFLESSIONI ( ALMENO, IN UNO COME ME )
FORSE, UN DOMANI ALCUNE DI QUESTE DIVERRANNO ROMANZI ...
PER ORA, ACCONTENTIAMOCI DEGLI SPUNTI!

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SOPRA LE NUVOLE

Scelta azzeccata, quella di trasferirsi perpetuamente a rimuginare quassù, ove il pensiero spazia e leggero galleggia surfando agilmente sopra il candido mar di vapori … poveri valligiani, che là sotto quest’oggi non godono nemmeno d’un raggio di sole!

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Vista privilegiata, prospettiva illuminante, squadrare tutto e tutti dall’alto; qui, dove chi non osa non ha diritto e chi si accontenta gode per davvero, ma solo a patto di non accondiscendere mai la mentalità di coloro che sotto quel mare arrendevoli stanziano rimirando mesti la fredda, nebbiosa giornata invernale che credono ovunque divaghi … e che a queste altitudini s’inasprisca perfino.

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Certo, a tratti i venti sferzano anche qui e le folgori bersagliano chiunque in ogni dove; alberi abbattuti, costoni dilavati, tormente di neve, grandini devastanti scagliate da improponibili angolazioni, bestie d’ogni sorta che rivendicano propri gli angoli dei borghi ormai abbandonati … o quasi.

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V’è tanto spirito e ben poca indulgenza, sopra le nuvole;  permanervi è un rischio perpetuo, una continua disputa contro agenti, elementi e fiere, che come noialtri affermano d’esistere senza cedere d’un passo; a più riprese esseri viventi al pari dei fenomeni atmosferici tentano irruzioni dentro vetuste dimore lacerate dal tempo, o tendono imboscate ad ignari passanti illusi d’essere al sicuro.

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Spadroneggiano le tenebre la notte, perfino fra i vicoli dell’abitato, e se il mare di nubi tende un poco a salire inghiotte tutto dentro una fittissima bruma ove nessun lume ha effetto; ululati, canti, fruscii, abominevoli versi e quant’altri lugubri suoni giungono allora agli orecchi degli sfortunati, che in quel mentre debbono giocoforza abbandonare il sicuro tepore delle rustiche abitazioni andando certi di spiacevoli incontri … non è posto per codardi, sopra le nuvole.

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Eppure v’è più onestà quassù che altrove, dove il sole è sole anche quando in basso non giunge, dove i tramonti sono nitidi per centinaia di chilometri  e le notti stellate così limpide da rimirar galassie; indiscusso è il bel tempo così come la tormenta, giacché la quota non concede spazio ai mediocri grigiori aleggianti su piane e fondovalle.

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Folate di vento portano profumi d’officinali aromatiche, muschi o castagni, in base ad orari, climi e stagioni; sentori di fumi giungono da stufe e camini, che quotidianamente ardono nove mesi l’anno donando tepore ed il conforto d’un sommesso crepitio, quale unico baluardo contro il gelo stringente durante le notti di tormenta, ove la dilagante neve s’accumula a iosa privando puntualmente gli isolati borghi dell’elettricità: non è petulante la compagnia d’un focolare, non insinua dubbi e non nutre timori … rinfranca soltanto.

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E’ sfiancante sopra le nuvole, regno di pendenze dove niente è piano e simmetrico, mondo dominato d’ogni sorta di scalini che arduo rendono l’incedere ostacolando il passo; posto per cuori robusti e polmoni allenati, occhi vigili e ferrea determinazione, che quassù compiere imprese è pane quotidiano … quasi un sogno dentro un incubo o perfino viceversa, per chi brama di aleggiarvi col pensiero e a tal scopo vi trascina sfidando il mondo, ogni molecola di sé.

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LIMITI

Quante complicanze, a questo mondo; volute o subite, singole o plurime, condivise o personali che siano … sarebbe certo meglio il pianeta se non ve ne fossero affatto, o meglio sarebbe evitare di frequentare il pianeta, così da non incorrere in seccatura alcuna.

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Taluni ci provano, me compreso; ma ahimè questo corpo terreno altro non fa se non bramare il proprio, naturale universo, impedendo a chiunque di trasferirsi stabilmente e a pieno titolo nel ben più gratificante mondo onirico, totalmente privo delle suddette limitazioni.

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Buona parte delle restrizioni, vengono necessariamente generate dalla promiscuità della vita sociale: per il quieto vivere siamo perennemente tenuti a frenarci, mantenendo certi comportamenti definiti “ decenti “, e anche ragionando sul personale … nessuno si renderebbe mai conto dei propri limiti, se non avesse sotto gli occhi quelli del prossimo, maggiori, minori o di pari livello che siano; fatto sta, che una volta appreso di possederne alcuni, ogni individuo risponde a suo modo.

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Vi sono coloro che negano l’evidenza, sottraendosi per quanto possibile a confronti diretti o filtrati che siano, pur di evitare di trovare soluzione al quesito che purtroppo, per quanto costoro possano tentare d’estromettere dalle proprie esistenze li perseguiterà in eterno, almeno nel loro subconscio; stessa sorte andrà toccando chi tali limiti paleserà d’accettarli apertamente, senza rimostranza alcuna … può esistere qualcuno felice di subire una restrizione?

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Esistono i furbetti, che sfruttando il prossimo a suon di menzogne i limiti li aggirano  â€¦ almeno fin quando, tale comportamento non presenterà loro il conto!

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Di contro, c’è anche chi i limiti non li accetta … li supera!

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Ecco dunque i nostri supereroi, che di fronte ad ogni complicazione fanno le spalle grosse spremendosi a modo, chi fisicamente, chi psicologicamente, o cimentandosi perfino in ambo le discipline contemporaneamente, gioendo infine del risultato conquistato a fatica e facendo tesoro del dolore provato nel compiere l’impresa; migliorando se stessi con sforzi sovrumani sormontano il problema, giungendo infine a trovare … un limite ancora più grande da valicare.

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Quanto in là può spingersi, una mente?

… quanto, un corpo?

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Non v’è scampo alle limitazioni d’ogni giorno; non v’è espediente, tanto valido da sottrarre l’essere umano a quel giogo inconsciamente auto-imposto … ma forse, rendendosi preventivamente conto che quel giogo esiste, qualcosa si può fare.

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I limiti non si negano, non si accettano, non si evitano e nemmeno si superano; i limiti … si annientano!

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E’ una disciplina per pochi, e ben poco remunerativa in quanto a soddisfazione; occorrono ingegno, colpo d’occhio, pazienza infinita e spalle ben più larghe di quelle dei sopracitati eroi; il sacrificio è requisito indispensabile … solo generando autonomamente altri limiti, si può sparare di attraversare nel mezzo, quali prestigiatori, gli insormontabili muri propinatici a raffica dalla vita d’ogni giorno.

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Ogni limite va analizzato nel dettaglio, carpito nei propri segreti ed infine attaccato, non frontalmente … ma alle fondamenta!

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Erodendo preventivamente le basi del limite stesso, impedendogli d’essere in divenire, ecco che questo si dissolverà con un semplice tocco di mano, aprendovi il passo.

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Come già detto il conto è salato, può capitare di doverci sprecare un’esistenza intera; eppure, riuscire a dare una sbirciatina dietro barriere mai valicate da alcuno ha il proprio vantaggio: fornisce spunti per annientare nuove barriere … delle quali nessuno s’è mai reso conto!

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LETTERA ALL'ABISSO

Dove sei, mio Abisso?

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No, non ti sei certo spostato … sei solo più profondo e prezioso di quanto avessi mai concepito; e ora che il mondo mi tiene prigioniero impedendomi d’affondare, galleggiando fra relitti di banalità ed infantilismo sono qui a maledirmi, per non saperti raggiungere.

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Mica è vita questa, sai?

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Respirare e spendersi fino al midollo, per alimentare la macchina che frastornante chiede materiali di continuo, inibisce il mio pensiero, ed ancor peggio fanno le moltitudini che mi circondano, bramose d’interloquire senza sosta nella tipica superficialità dell’esistenza comune, bandita ad arte decenni orsono da queste meningi, non senza pagarne le insormontabili complicazioni.

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Povero il mio cervello, sovraccarico di sarcastici botta e risposta calcolati al millesimo di secondo, d’inesplicabili delucidazioni proferite replicando obbligato a sommarie questioni, degli equivoci d’ogni sorta che inevitabilmente scaturiscono quando, una mente poco avvezza al ciarlare, deve fare i conti con bocche allenate a mitragliare a raffica.

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Poco importa che la macchina viaggi spedita e senza intoppo; stima e complimenti rassicurano un poco … ma sono niente in confronto a te, mio Abisso.

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Non ti ho perso, non temere; che talvolta, durante gli attimi di quiete riesco ancora a scorgere nitidamente la tua oscurità … ma anche così, traghettarmi nuovamente fino a te risulta quasi impossibile, giacché fuori la fabbrica, è la casa a richiedere attenzione!

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La stufa divora al solito tonnellate di legna, impegnandomi buona parte del tempo libero ormai risicato, e a poco è servito riorganizzare più volte tutta la filiera, che la coperta è sempre corta; un piede di troppo fuori la porta, ed ecco  gli abitanti del borgo chiedere dazio anche loro, macinando ciò che resta dei miei poveri pensieri, costringendomi perlopiù recluso fra queste mura.

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I weekend non bastano mai, che durante i fine settimana perfino la famiglia brama la sua parte, ed eccomi spendere ore preziose appisolato inerme su scomode sedie, sperperando ciò che resta di tolleranza ed energie; eppure, nonostante il massacro proseguo imperterrito.

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Proprio ora, che la tentazione di assoggettarmi alla vita comune è forte più che mai, che le membra chiedono pietà e la psiche implora a gran voce, di cedere al quieto vivere, ecco che tutto si fa più nitido in ciò che resta delle mie riflessioni: pazienza, se il mondo creato da e per gli uomini socievoli, ripudia ed ostacola i pensatori solitari!

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Sebbene sia certo che non esista destino per alcuno, sono altrettanto sicuro che nessuno nasca e crepi per caso; assodato che l’esistenza non sussista per esser vissuta né tantomeno goduta … bensì semplicemente sperimentata, ecco che ognuno ha diritto di portare avanti la propria a suo modo, nonostante i benpensanti storcano il naso.

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Quindi, mio caro Abisso … questa missiva sono a consegnartela di persona, sacrificando una preziosa domenica d’indolenza che tanto m’avrebbe aiutato a riprendermi; ma almeno in tal modo sono giunto a sfiorarti dopo tanto tempo, e se ancora non posso tornare ad abitarti per intero, perlomeno quest’oggi riesco nuovamente a guardarmi attorno quaggiù, anche se per pochi istanti soltanto.

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E così come i gatti neri e le stelle cadenti non sbagliano mai, perpetuamente preda della più terribile maledizione che si possa subire, quella di conoscere per certo le proprie ambizioni, eccomi qui a  provarti che la nostra lontananza durerà ancora per poco; quella macchina infernale, affidatami un anno orsono quale drago sputa fuoco, ora m’appare come un gattino obbediente, ed il povero cervello subissato dal prossimo, comincia anch’esso a trovare le giuste, quotidiane scappatoie ai mondani problemi, ritornando sempre più spesso a quei meravigliosi attimi di follia, che da tempo mi erano preclusi.

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No, mio Abisso; non è barattabile la smisurata libertà che concedi qua sotto, con l’opprimente superficialità imposta dalla vita sociale … e se anche ora la lenza tira e i galleggianti spingono, costringendomi a risalire, stai pur certo che ben presto ti visiterò nuovamente, trattenendomi più a lungo.

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Nulla può l’umanità intera, contro il folle desiderio di covar pensieri unici ed irripetibili!

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STRADE QUOTIDIANE

Trentuno tornanti, non uno di meno; tre quarti d’ora di gincane fra i boschi e la riviera, sterzando a più non posso alle quattro del mattino, quando perfino durante il solstizio d’estate il cielo emana a stento timidi bagliori a settentrione, in grado di rifrangersi sullo scuro specchio lacustre per qualche settimana appena, prima di tornare ad inghiottire il viaggiatore nella notte più cupa.
Non è la via più veloce, economica o semplice, per concedersi giornalmente alla frastornante fabbrica … ma è certo la più appagante e tanto basta al novello pendolare, che dopo decenni di code in tangenziale ora guida pressoché solo, perso nelle tenebre delle strade di montagna spezzate di tanto in tanto dal luccicar del lampione d’un borgo, lontano dai quali è tutt’un susseguirsi d’incauti attraversamenti bestiali, fra salti di caprioli e galoppi di daini inseguiti dai fari, nonché tuffi al cuore e tremori di mani al volante ad ogni improvviso incrocio di mastodontici cervi, lenti a scansarsi quanto pessimi nel calcolare il momento propizio in cui gettarsi senza remore, verso il cofano del malcapitato in arrivo.
Famiglie di cinghiali che attraversano in fila indiana, faine e tassi, che goffamente cercano di correre via con le loro corte zampette, scaltre volpi che leste s’infilano nei rovi e nugoli di farfalle, che attratte dagli abbaglianti si suicidano contro il radiatore completano i quotidiani incontri, giacché ogni mattina v’è certezza piena d’ingaggiare almeno un essere di cui sopra … quando non si arriva a sfiorarne la decina!
Giunti in basso, sulla riva lacustre, una breve sosta al benzinaio concede agli orecchi di godere per un attimo dell’armonioso rifrangersi delle onde sulla battigia, fra lo spegnimento del diesel e l’innesco della gracchiante pompa, certamente maledetta in quegli orari dagli ancora sognanti residenti affaccianti sull’area di servizio; poi via, a tutta velocità sulla serpeggiante provinciale quasi per nulla frequentata, attraversando grondanti gallerie che lavano quotidianamente il parabrezza, anche nei periodi più torridi, fuori le quali il lago accompagna celato il veicolo, rivelandosi solo a tratti grazie al fioco riflesso della luce d’un molo sperduto, o ai catarifrangenti delle boe d’ormeggio; eppure di tanto in tanto, quando la luna piena tramonta ad occidente in concomitanza al passaggio, il fortunato autista può rimirare uno spettacolo a dir poco idilliaco.
Lo splendente satellite, rifrangendosi sull’acqua crea una luminescente, irreale scia, che nascendo dalla riva opposta giunge fino al finestrino dell’auto e di lì mai si allontana, correndo sulle onde per tutto il tragitto inseguendo il viaggiatore, che nelle notti ventose arriva a godere di scenari talmente surreali … da parer quasi creati al computer!
La strada è sgombra, le curve memorizzate, l’anticipo sull’inizio del turno abbondante … e finalmente una volta tanto costui può perdersi completamente dentro cotanta meraviglia, piuttosto che prestare in toto la propria attenzione alle distrazioni del prossimo, come gli era da sempre toccato di fare fin lì.
Infine, trascorsa qualche decina di minuti un filare d’interminabili lampioni segna la fine del tragitto, e svoltando in una traversa ecco il pendolare allontanarsi d’un poco dalla riva, raggiungendo la vicina fabbrica ove espletati i propri doveri di nuovo si mette al volante, questa volta nel cuore del pomeriggio, con il sole alto nel cielo che dona al lago innumerevoli sfumature d’azzurro, e al paesaggio intorno … l’infinita tavolozza del creato!
Esplodono i colori in primavera, dentro e fuori i giardini delle maestose ville rivierasche, fra ciliegi in fiore ed interminabili siepi di forsizia che sfrecciano lungo i finestrini; l’aria è pulita, i profumi soavi … niente a che vedere con le trafficate, grigie, maleodoranti città!
Gli storici, rinomati borghi lacustri si susseguono l’un l’altro, rendendo speciali perfino le sporadiche soste ai semafori dei lavori stradali, durante le quali il conducente non attende con impazienza la tanto agognata luce verde, perso com’è  nel rimirare estasiato l’ennesimo scorcio riflesso sull’acqua, e giunto il proprio turno riparte con calma, ascoltando la musica preferita con gli occhiali da sole inforcati sul naso ed un braccio a penzoloni fuori dal finestrino; certo, al sopraggiungere della stagione turistica qualche disagio è inevitabile doverlo sopportare … ma quei nugoli d’individui attraversanti in ogni dove senza riguardo alcuno, che un tempo l’avrebbero fatto infuriare, ora riescono solo a farsi compatire dal nostro, che osservandoli accalcarsi come non ci fosse un domani commenta, scuotendo lento la testa:
<< Poveracci! >>
Poco importa siano appena scesi dalle auto più lussuose in circolazione, abbandonate contro ogni buon senso come neanche nel cortile d’uno sfasciacarrozze; egli sa bene che di lì a poco, costoro per tirare a campare saranno obbligati a tornare nel luogo cui lui si è faticosamente sottratto, alle comodità del quale essi non trovano modo di rinunciare, accontentandosi di sognare, trascorrendo qualche risicato giorno di vacanza nella riviera, che perpetuamente lo vede transitare.
Facendo spallucce di fronte l’ennesima invasione di carreggiata, ecco il pilota sterzare a monte, inerpicandosi nuovamente verso casa; la strada stretta e contorta scoraggia i forestieri dal transitarvi, ed il pesante 4x4 che ovunque ballonzola senza ritegno, d’improvviso si trasforma nell’auto perfetta … par quasi progettato esclusivamente per percorrere quell’impervia viuzza!
Il mezzo s’inerpica a più non posso, e a qualche sporadico incrocio non ha problemi a gettarsi in velocità dentro il prato o in un fosso, lasciando strada ai meno esperti, che dell’asfalto sotto gli pneumatici fanno inconsciamente la propria virtù; salendo di tornante in tornante, il panorama sul lago si fa sempre più spettacolare e la frescura dei monti invade pian piano l’abitacolo; le primule tappezzano ancora il sottobosco lassù, e le foglie sugli alberi hanno da poco preso a germinare, accompagnando sempre più rade il rientro del pendolare, che superato un piccolo alpeggio saluta l’azzurro bacino, inoltrandosi oltre il passo.
Poco più d’un chilometro ed il primo borgo di montagna gli da già il benvenuto, con il proprio campanile stagliato ad arte contro delle rocciose, spettacolari creste ancora innevate, e ripensando ai colleghi che in fabbrica gli chiedono:
<< … ma non di danno fastidio, tre quarti d’ora di macchina? >>
Esso rammenta la schiavitù trascorsa fra le snervanti, trafficate metropoli, e gustandosi appieno l’odierna, meravigliosa strada cocciutamente estorta al mondo per recarsi al lavoro, nuovamente ridacchia, tirando contento un paio di pacche al volante, nel replicare fra sé:
<< … guarda dove cacchio vivo! >>

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FOCALIZZARE IL PROSSIMO

Quello di sintetizzare è un metodo semplice, economico e sbrigativo, per cogliere alcune delle sfaccettature che compongono gli eventi; teoricamente, dovrebbe interessarsi dei punti salienti delle questioni … ma ahimè, ogni riassunto è generato dall’uomo, e questo fa sì che spesso, tali compendi non colgano affatto i lati essenziali dei temi trattati, quanto quelli più evidenti.

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Vi è una bella differenza fra evidenza ed importanza, e sono in pochi coloro in grado di distinguerle appieno … peccato soltanto che questi fortunati riescono nell’impresa giacché godono d’intelletto puro, ed in genere costoro sintetizzano di rado, gustandosi al contrario dei molti, le innumerevoli sfaccettature che ogni singolo quesito offre.

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Certo, esigenze della vita quali studio e lavoro impongono spesso di sintetizzare, ed in tal caso è doveroso farlo, ma tanti si cimentano nell’impresa un po’ troppo spesso, il più delle volte per sopperire a delle proprie mancanze, che li vedono incapaci di recepire per intero la magnificenza che li circonda.

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Poco male, quando si tratta di semplici argomenti affrontati per luoghi comuni, sotto i quali nessuno si prende mai la briga di scavare un pochino; eppure, è ormai usanza consolidata sintetizzare perfino … le persone!

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Un numero abnorme d’individui, cerca disperatamente di “ focalizzare “ i propri simili, illudendosi in tal modo d’esser tizi dallo spirito profondo, di quelli che si prendono del tempo per analizzare l’altrui ego nel dettaglio, carpendone senza sforzo i più reconditi segreti … ed è proprio questo, l’errore nel quale costoro incappano senza distinzione alcuna.

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E’ giusto riepilogare l’ego d’un essere umano, accomunandolo per svariate tipologie di vita e di pensiero?

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E’ moralmente corretto, ridurre a poche decine di assimilabili evidenze, le milioni di sfaccettature che compongono ogni singola entità?

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In realtà le persone sono abissi profondi, interminabili crateri, miliardi di chilometri di pozzi da scavare; ciò che traspare, o che lasciano trasparire in evidenza, raramente ha a che fare con i meandri della coscienza; vi possono essere individui apparentemente insoddisfatti, che covano nel cuore appagamento puro, così come i più spavaldi ed altruisti, che temono in realtà lo stato d’abbandono … quindi no; non è ammissibile riepilogare dentro una singola impressione, l’animo complesso dell’uomo.

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Chiunque per propria mancanza tenta di focalizzare il prossimo, ottiene nient’altro che un risicato resoconto foriero di deleterie ambiguità … ma d’altro canto, questo si merita.

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E’ un insulto a Dio e al creato intero, arrogarsi il diritto di riepilogare l’universo contenuto in ogni singola persona; qualche somiglianza si potrà pur notare, ma è doveroso non generalizzare, concedendosi del tempo per capire, piuttosto che associare … e comunque, è inutile scavare.

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Per quanto molti millantino fandonie, il Creatore ha fatto le cose per bene, tanto che a nessuno è concesso di scendere troppo in profondità nel proprio ego … figuriamoci in quello degli altri!

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ALBERO DI CRINALE

Niente intorno a sostenere, poca l’acqua che fra le rocce resta per alleviar la sete; venti d’urgano a sferzar di continuo e nevi pesanti che schiacciano al suolo; eppure lì il suo seme è andato a germogliare, e solo Dio sa come ha fatto a sopravvivere, solitario un albero, su quel ripido crinale.

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I suoi simili stan nel bosco, sul pendio meno brullo e scosceso, sostenendosi l’un l’altro mentre egoisti gareggiano in altezza, per un raggio in più di sole; certo lì il terreno è ricco, ed il versante riparato; perfino il forte vento giunge un poco sopito, e nel caso ci si può sempre poggiare l’un l’altro, per proteggere il proprio lunghissimo tronco perfetto.

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La neve ed il gelo non sono un problema, che tonnellate di foglie promiscuamente condivise formano al suolo un fertile, caldo cuscino, e poco importa se l’astro valica il monte per poche ore al giorno, che con così tante fronde aperte verso il cielo, là sotto è sempre buio pesto.

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Non è alto l’albero di crinale, non ne ha bisogno; che lassù in cresta il sole domina da mattina a sera, ed intorno non v’è concorrenza alcuna; è contorto il suo tronco, spezzato in più punti, sgradevole d’aspetto e prodigo di nodi … ma di resistenza pura.

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Scarna è la sua chioma, sovente strappata da venti che gli altri nemmeno conoscono; fessurate le sue radici dai ghiacci, che fra le rocce perdurano e s’insinuano per mesi, sotto la pesante coltre che di anno in anno l’ha più volte sepolto per intero, trascinandolo inesorabilmente verso il baratro.

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Germoglia per ultimo e cede le foglie per primo, resistendo a temporali le cui folgori l’han centrato in pieno, ardendone il legno che temprato è comunque tornato a vivere, fuso quale robusto supporto nelle nuove ramaglie; così malmesso non ha molto da offrire al viandante, se non un poco d’ombra ed un punto di riferimento sicuro; eppure, proprio per questo … verrà ricordato.

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Nessuno presta attenzione ad ogni singolo albero d’un bosco … tranne il boscaiolo, che attratto dalla selva di tronchi perfetti non si fa certo pregare, e fa man bassa; così come il vento d’uragano, quando d’un tratto infuria perfino sotto il costone, e contro cui nulla possono, poggiandosi fra loro quegli alberi troppo alti e frondosi; i loro fusti, adagiandosi sul suolo umido e fertile verranno presto sepolti da nuova vegetazione desiderosa d’esporsi al sole, ed in meno d’un secolo nessuno saprà più che lì era un bosco ancor più antico.

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Camperà quanto gli altri o forse meno, l’albero di crinale; ma di memorie della sua bizzarra postura sarà pieno il mondo, e perfino una volta crepato non verrà cancellato; il suo tronco contorto, temprato dal fuoco, dal sole e dal gelo resisterà forse per un millennio intero, fornendo riferimento sicuro al viaggiatore, che poggiandovi mano si chiederà per certo, com’era d’aspetto.

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Non spaventa la sete, né la folgore, il gelo o il fortunale, quando s’ha da guadagnare lo spirito contorto … d’un albero di crinale!

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QUI

Qui,

dove la nube ammanta il borgo

sfocando spigoli e colori;


qui,

dove la quiete rivaleggia col silenzio

dominando strade,

vicoli e costoni;


qui,

dove l’idillio dei paesaggi

non conosce inibizione alcuna;


qui,

dove l’aria spande ancora

il profumo dei muschi la sera;


qui,

dove esistere è arduo,

semplice e naturale insieme;


qui,

dove le complicanze non trovano sponda alcuna

nell’animo saldo di coloro

che perpetrano nel sussistervi;


qui,

dove il rustico ingegno comanda

le sorti delle genti concrete

che abitano la storia;


qui,

dove non v’è rinuncia

che non appaghi appieno;


qui,

dove la vita è vera

e le necessità reali;


qui,

dove l’animo rinfranca sé stesso

conseguendo uno scopo;


qui,

in questa virgola di tetti

persa fra boschi millenari

e suggestivi scenari,

che solo in pochi

godono del privilegio di poter chiamare

… CASA.

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365

Sommerso dalle incognite qui l’animo giungeva,

che per sopravvivere a sé stessi all’infinito

mai viene fornita persuasione indubbia.


Cadevano gli intonaci e ancor oggi son precari,

traballano i vetri dentro i vetusti serramenti corrosi dai decenni;

giuocano le piastrelle del pavimento ad ogni mio passo

e s’incastrano le porte che autonome s’aprono o chiudono

in base al clima e alle stagioni.


Non v’era modo di sapere

se non scoprirlo di persona,

e per star certo d’esser nel giusto …

senza possibilità di remissione alcuna!


Migliaia di stoviglie son passate nel lavello,

sono lindi i pavimenti fregati di continuo;

si son stesi chilometri di panni ad asciugare

stirando metri quadri a non finire,

e la polvere ancora non trova scampo

fra queste mura.


E’ giunto l’inverno e allo stesso modo è passato,

lasciando indelebili i segni dei propri artigli

cui ora il sottoscritto è preparato;

chili di legna e surrogati

le stufe han divorato a migliaia,

saliti da braccia che coscienziosamente

ogni ciocco hanno più volte prelevato e accatastato,

giacché in questo luogo …

niente è mai scontato!


Si son visti centimetri di neve

e tonnellate di tramonti,

che milioni di caratteri han prodotto

grazie a musiche dimenticate da tempo;

di genti e storie è già saturo il cervello

ma per quelli del posto c’è sempre spazio,

che di punti di vista concreti

il borgo è quanto mai crogiolo.


Venti d’uragano,

diluvi e tempeste inclementi

la catapecchia hanno investito,

ma tetto e porte che in passato colavano a iosa …

nemmeno una goccia han trasudato!


Non v’è niente che sovrasti il puro,

ardito ingegno d’una mente sola,

che del dimorar perpetuamente

dentro un rudere accogliente

ha caparbiamente fatto la propria scuola;

rinunciare ed adattarsi giova in fondo all’intelletto …

e un idiota sociopatico

di neuroni ha un gran bisogno!


Come l’anno scorso è domenica d’estate;

svolazza il variopinto ragnetto in centro alla sua tela

poco oltre la finestra,

spiccando sullo sfondo offerto dai boschi

di là della vallata;

fra una battuta e l’altra mi è d’ispirazione,

che l’esistere quassù dona semplicità

e quiete a profusione.


Solo il lavoro ancora manca,

ma poco importa:

un’impresa come questa …

non può certo andarmi storta!

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LUCI, GIU' IN VALLE

L’astro è calato, con tutto il suo ardore; le brume silenti invadono i costoni e lentamente condensano, su tetti, alberi, prati e strade, accompagnate in coro dal vociar dei merli, che fino all’ultimo bagliore dan battaglia a sé stessi e al mondo intero, quietandosi in pace al più cupo del nero.


Le creste infuocate si son spente anch’esse, mutando di porpora in grigio chiazzato di neve; l’aria è più umida, carica dei profumi del bosco, ed allora, prima che una singola stella invada solitaria il firmamento, la valle dà spettacolo … inscena il cambiamento!


Prede del crepuscolo le forme si confondono e scompaiono i colori: case, cascine, campi e capannoni, donano all’occhio sagome sfocate che si mescolano in un monocromatico abbraccio, finché improvviso un baglior fa capolino, seguito a ruota da un nugolo d’iridescenti lumicini che lesti prendon vita in ogni dove, disegnando strade, paesi, o singole entità che sfrecciano fra le tenebre più scure, d’un agglomerato all’altro.


E’ viva la valle, e appieno lo dimostra, quando ormai non si distingue più il cielo dal crinale del monte; vi sono orari di punta, con treni di fanali che giungono dalle provinciali e si disperdono nei borghi, chi a destra e chi a manca, illuminando dopo un lampeggio di freccia e un colpo di freni, ognuno il proprio portone; vi sono i campanili delle chiese, che sotto Natale emergono dal nulla ricoperti d’interminabili filari; v’è il campo sportivo, illuminato a giorno come i perimetri dei poli industriali; v’è il cuore del paese, ove i lumi si fan fitti, coadiuvati da miriadi di finestre accese; v’è il tortuoso, scuro corso del fiume che taglia di netto l’iridescente fondale, o l’isolato campeggio dalle forme squadrate, pregno di centinaia di luci soffuse; perfino il cimitero dà spettacolo, qual fitto tappeto d’indistinguibili fiammelle e lampade votive.


E’ calma la valle, col cielo terso e l’aria quieta delle notti d’estate; ma non appena s’alza un alito di vento, ecco che all’unisono prende a sfavillare, ed ogni singola luce brilla e sfoca di continuo senz’ordine apparente, unendosi all’altre in un caotico moto pari a quello del mare.


Lotta la valle, ad ogni temporale; quando cumuli di nubi giungono imponenti, squarciando le tenebre con fulmini accecanti; ed ecco i paesi inghiottiti scomparir sommersi, e i fari più potenti annaspare, emergendo appena fra i flutti dell’etereo vapore, che quando ha la meglio e ricopre ogni cosa omogeneo s’illumina anch’esso, delle fioche tonalità delle luci inabissate.


Festeggia la valle, l’ultimo dell’anno; e a mezzanotte in punto ogni borgo lancia al cielo fuochi d’artificio, che sommandosi gli uni agli altri in un crescendo d’esplosioni colorano a tappeto l’intero fondale, illuminandolo a giorno; ed ecco ricomparire i campi e le cascine, gli alberi ed il fiume, le pendici dei monti; per lunghi minuti, chilometri di fuochi si danno senza sosta il cambio, e gli occhi non sanno più dove guardare in quell’oceano sfavillante.


Eppure, proprio coloro che di quello scenario sono gli artefici in realtà non ne godono appieno, giacché dalla valle non è possibile scrutare la valle, e chi dall’alto osserva ogni notte un simile idillio, un po’ si dispiace: tutti al mondo, avrebbero il diritto di coricarsi con la quiete del monte nel cuore, e negli occhi le luci, giù in valle.

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RICORDI

Pensieri affioranti dalle nebbie del tempo, sono i ricordi; memorie vicine o lontane, talvolta lancinanti ma sempre e comunque intense, nel bene o nel male, giacché l’essere umano non si dà pena di rammentare il superfluo, e ciò che trova posto nel cuore e tra i neuroni, giustamente lascia il segno.


Ecco dunque allegre reminiscenze danzare nella mente, strappando sorrisi da volti allietati che in compagnia condividono appieno, una vetusta marachella di gioventù al pari del più recente aneddoto … una piacevole ricorrenza; ed il pensiero è così forte che ci si diverte perfino senza interlocutore alcuno, e allora stuoli d’individui sogghignano per conto loro … poco importa, se in pubblico o al sicuro!


Di contro, a fare muro v’è il ricordo più tremendo, che a differenza dei piacevoli, tutti a pari merito, il suo titolo l’ha estorto; si palesa giornalmente e non si può dimenticare: una tragedia, una colpa, un torto o un misfatto, subìto o procurato, che in ogni caso genera rimpianto; guai a lasciarsi prendere, a voler tornare indietro … rimediar non è concesso, giacché indietro non si torna!


Quel che è stato è stato: guardare avanti e far tesoro, è l’unica alternativa al cadere nuovamente in errore, o all’essere beffati; le memorie belle e brutte contribuiscono allo scopo, ma né l’une né l’altre prevalgono nel cuore e nel pensiero sul ricordo più puro … quello vero!


Così come nella vita, è l’autentico rammento, e surclassa per presenza ciò che sopra vi ho descritto; può essere triste ed ilare insieme, dolce e amaro nelle sue sfaccettature, meravigliosamente bello ma terribilmente devastante, incredibilmente surreale eppure dannatamente serio, o perfino una mescolanza del tutto.


Pregi e difetti d’una persona conosciuta in passato, alti e bassi d’una vacanza o d’un viaggio trascorsi, il meglio ed il peggio d’un lavoro svolto, le qualità d’un oggetto posseduto, il bello ed il brutto d’un luogo abitato … il ricordo di chi non c’è più.


Un agrodolce pensiero entro cui tutti si perdono volentieri, per giungere al succo del quale occorre però attraversarne le spine, ed ognuno l’affronta a suo modo: c’è chi gradisce il dolore immenso, e la gioia della ricompensa che porta sul fondo; chi il dolore l’esorcizza e lo cancella, godendosi solo la parte migliore del film; chi con quel dolore ambisce punirsi, negandone i risvolti positivi, e chi invece mitiga il tutto, smussando e sfocando l’intera vicenda in un contesto sommario.


Fra i rammenti agrodolci, quelli più intensi rievocano le rinunce passate, ciò che sarebbe potuto essere e non è stato; chi per pura coscienza un giorno ha rinunciato, rimembra appagato il proprio gesto, e nel contempo si rammarica per ciò che ha perduto ... ma a differenza degli altri casi, non v’è pace alcuna per costoro, non v’è rassegnazione!


Tutti loro ben sanno, che se un giorno le incredibili combinazioni della vita torneranno ad allinearsi, saranno nuovamente chiamati a scegliere di fronte alla medesima possibilità, e questo genera speranza … una speranza, ricolma di dolore.


Chiunque nella vita ha rinunciato a malincuore, spera un giorno di riavere un’identica occasione … ma chiunque nella vita ha rinunciato a malincuore, è ben certo che di nuovo s’asterrà dall’ottenere ciò che un tempo ha ricusato; meglio sperare in un nuovo dolore … che rammentare un deleterio passato!

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NUVOLE

Percepite come disdetta dall’amante del bel tempo, soavi le nuvole aleggiano in volo; ma occhio attento sa bene non trasparir mestizia alcuna, d’un plumbeo cielo, che mirabili spettacoli ha d’elargire via d’un semplice, azzurro terso, ornato nel mezzo d’un sole cocente.


Portatrici di vita, le umide nubi in groppa ai venti fan la spola, giacché consegnare il loro carico prezioso è priorità ineluttabile, così che il mondo sopravviva generando nuove nubi; eccole dunque svaporare, e lentamente prender corpo; dal grondante costone d’un monte, da un placido laghetto, da campi coltivati, da fiumi, canali e mari.


Nebbia, son le nuvole all’origine, quando il sole scalda un sito intriso inducendo i bianchi fumi a prorompere dal nulla; ed ecco tetti, strade, alberi e prati, esalare all’unisono vapori che giunti in cielo s’abbracciano, fondendosi insieme e mescolandosi nei toni, fino a divenir compatti al punto da potersi dire …  nubi.


Ve ne son molteplici e di molteplici forme, dalle più corpulente alle appena accennate, ed ognuna ha il proprio carattere e portamento, a dar luogo ad una varietà che sorprende ed ammalia insieme: v’è quella scura, veloce ed incorrente, che si sposta sotto l’altre durante il temporale; vi son cumuli imponenti all’orizzonte, di chilometri di spessore, o agglomerati dalle cangianti forme che transitano lenti; vi son greggi che pascolano assieme, o solitarie entità appollaiate sopra un picco; masse compatte che coprono nazioni, o lievi striature che s’allungano a velare il sole; v’è troppa molteplicità, per immalinconirsi sotto un plumbeo cielo.


Fan connubio col tramonto, le nubi; incendiano i cieli e rifrangono i vermigli raggi del sole ormai stanco, diffondendo sfumature soavi; d’arancio acceso chiazzano il turchese, a volte così autorevolmente da tingere e scaldare il panorama intorno; ed ecco laghi, mari e fiumi ardere di fuoco; le creste rocciose divenir bracieri, e i muri delle case arrossire anch’essi, mentre i tendaggi alle finestre avvampano, velando il mobilio dell’aura rovente; non importa quanto freddo sia intorno; scaldano l’anima e il cuore, le nuvole al tramonto.


Non paghe, quando l’astro cala e si congeda, seguitano dall’alto a percepirlo e rifrangerlo al mondo, protraendo l’idillio variando in vermiglio ed in porpora, giungendo infine alle soglie dell’indaco prima di spegnersi anch’esse, mutando in un chiaro grigiore nettamente stagliato sul firmamento stellato; eppure, nonostante l’oscurità danno ancora spettacolo, quando la luna vi sorge dal mezzo delineandone i bordi, e talvolta, in particolari occasioni, tingendosi anch’essa di tiepidi toni.


Sono i monti, la patria delle nuvole; dove più di frequente prendono vita, e dove ammirarle è per l’uomo soddisfazione pura; chi ha la fortuna di rimirare dall’alto un’occultata vallata, sovente non crede allo spettacolo delle bianche nubi che la farciscono appieno, col morbido mare imprigionato fra i picchi che par quasi panna montata, ed il panorama che stravolto, sorprende ed allieta lo sguardo.


Lottano contro le creste, le nubi; con lo sfondo del bosco o della nuda roccia che le squarcia, e loro che di contro ingoiano il paesaggio, donando agli spettatori un epico scontro: chi non è mai stato inghiottito da una nube?


La si scorge salire lungo il costone, ed imponente divorare alberi e case, prima d’esser preda sé stessi; la temperatura cala, l’umidità avvolge tutto d’un mondo ovattato, toglie la vista e penetra nei polmoni, portando con sé l’inconfondibile aroma della neve; fortunati, coloro che hanno respirato una pura nuvola di montagna!


E’ il sacrificio, il destino delle nubi, quando giunte a destinazione vuotano il carico; ed ecco piogge, nevi e grandini scaturire dal cielo; saette e tuoni a far da contorno, nubifragi e uragani devastare il mondo; e quando tutto è terminato, e la nube ha assolto la propria mansione, alleggerita e stanca s’apre e si squarcia, lasciandosi placidamente dissolvere dal sole.


E’ meravigliosa, triste e spaventosa, l’avventura d’ogni nuvola, che cela dietro tanta leggiadria inconcepibili fardelli, giacché ogni singolare sagoma aleggiante in cielo porta con sé la vita, la morte, la sorte e l’idillio insieme; tutto, magicamente racchiuso nelle fluttuanti entità definite semplicemente … nuvole.

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FELIX

In un giorno come tanti pervadesti la mia mente, astuto stratagemma generato chissà come e chissà quando per giungere in soccorso all’apice del disprezzo, invalicabile muro di gomma che preserva dal dolore il pensiero, lucente armatura grazie alla quale ancora calco il terreno … e che negli anni ha lavorato parecchio.


Sfavilla mia corazza, che ho compreso essere indegno chi s’arrogava d’instradarmi il destino, e ancor cieco son dovuto saltare, annaspando fino in qualche modo a sopperire.


Sfavilla mia corazza, che la menzogna è insita negli esseri senzienti, e la fasulla pazienza ne è sintomo integrante; ma ai tuoi occhi è subito scoperta, giacché al mondo solo in te confido, e per questo ho ben appreso che anche le più insospettabili creature, talvolta inconsciamente, perseguono un proprio, recondito fine.


Sfavilla mia corazza, che il sacrificio d’innocenti mi permise di partire; ed io, succube codardo, non seppi alleviare le loro torture.


Sfavilla mia corazza, che ho scoperto imperfetta perfino la perfezione, e coloro che imperterriti la perseguono ad ogni costo troveranno amaro il proprio destino; non è perfezionabile, la perfezione stessa … non è concesso andare oltre, e chi sventurato dovesse giungervi, perderebbe all’istante motivo d’esistere.


Sfavilla mia corazza, che i lupi si travestono d’agnelli e su costoro sferrano agguati il giorno più cupo dell’anno; solo, i lupi non sanno, che talvolta anche al demonio aggrada celarsi dietro il medesimo travestimento … ed egli è di certo più scaltro d’un povero lupo.


Sfavilla mia corazza, che dopo miliardi d’assalti ancora risplendi come il primo giorno, e i colpi della vita, del nemico e del destino, anziché sfregiarti ti rafforzano in continuo.


Sfavilla mia corazza, del metallo sbeccato all’armi degl’incursori, che ad ogni assalto sempre più logori riducendoli ad inermi astanti; prede stanche, confuse, accecate dal tuo bagliore, esseri pronti da lasciarsi alle spalle senza ritegno alcuno.


Sfavilla mia corazza, che d’immonda pazienza io godo per davvero, e il mio credo Ã¨ sempre stato e sarà sempre, ignorare in toto l’altrui pensiero; non farà presa critica alcuna, non udrò mai un complimento, perciò poco importa, mondo intero; pazienterò ancora, ben oltre lo sfinimento, e un giorno o l’altro ad ogni modo … ruoterai come io intendo!

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